Mattmark prima della Marmolada. 57 anni fa il ghiacciaio uccise 17 bellunesi

Mattmark prima della Marmolada. 57 anni fa il ghiacciaio uccise 17 bellunesi

Fiorenzo Ciotti, Pietro Lesana, Enzo Tabacchi, Giovanni Baracco, Leo Coffen, Igino Fedon, Ilio Pinazza, Rubelio Pinazza, Arrigo De Michiel, Silvio Da Rin, Celestino Da Rech, Giovanni Zasio, Mario Fabbiane, Giancarlo Acquis, Aldo Casal, Lino D’Ambros, Virginio Dal Borgo. Sono i diciassette bellunesi che cinquantasette anni fa persero la vita a Mattmark, Canton Vallese, Svizzera. Era il 30 agosto del 1965. A oltre 2 mila metri di quota, in uno dei cantieri idroelettrici più grandi d’Europa, era in costruzione una diga in terra battuta. Alle 17.15, poco prima del cambio turno, una massa di 2 milioni di metri cubi di ghiaccio si staccò dal ghiacciaio Allalin, travolgendo tutto: officine, alloggi, macchinari, uomini e donne. «Niente rumore – raccontò uno dei sopravvissuti ai cronisti dell’epoca -. Solo un vento terribile e i miei compagni volavano come farfalle. Poi ci fu un gran boato, e la fine. Autocarri e bulldozer scaraventati lontano». Le vittime furono ottantotto. Tra queste, cinquantasei erano emigrati italiani, diciassette bellunesi. 

I loro nomi sono stati scanditi ancora una volta ieri (domenica 28), nella commemorazione organizzata annualmente a Mas di Sedico dall’Associazione Bellunesi nel Mondo e dalla Famiglia ex emigranti Monte Pizzocco. Una cerimonia in ricordo di chi su quelle montagne della Svizzera, raggiunte per cercare un riscatto economico e condizioni di vita migliori, ha trovato la morte. Un momento di riflessione alla presenza di alcuni dei superstiti che quel 30 agosto videro scomparire per sempre amici e compagni di lavoro. 

«Me li sono visti passare tutti davanti agli occhi», ha raccontato uno di loro, Gianni Da Deppo, di Domegge. «Una cosa che non si dimentica». Lui c’era, il 30 agosto. Si salvò per una questione di minuti. Poi fu tra i tanti che nelle ore, nei giorni e nei mesi successivi si impegnarono nelle operazioni di recupero. «Quando sono salito in cantiere – ha ricordato – ho trovato una situazione indescrivibile. Abbiamo passato la notte a cercare se c’era qualcuno da trarre in salvo, ma il ghiaccio era un manto che copriva tutta la valle». Impossibile dimenticare. Anche dopo cinquantasette anni. Soprattutto per chi, nell’alta valle di Saas, ha perso un parente, un familiare. Come Anchise Pinazza, al quale la tragedia di Mattmark ha portato via un fratello. «Avevo vent’anni. Io e mio padre, ricevuta la notizia, siamo subito partiti per aiutare nelle ricerche. Lavoravamo con le spalle al ghiacciaio, con il pericolo di nuovi crolli. È stato un dolore enorme». Un dolore che ha distrutto tante famiglie. E sul quale si è aggiunto altro dolore, visto che dopo oltre sei anni di inchiesta, i diciassette imputati accusati di omicidio colposo furono tutti assolti. In appello la beffa: oltre alla conferma dell’assoluzione, i familiari delle vittime furono condannati al pagamento delle spese processuali. Eppure l’instabilità del ghiacciaio era nota da secoli, ma questo non impedì al consorzio di ditte che gestivano il cantiere di collocare nella sua traiettoria le baracche di operai e maestranze. «Una verità – l’amara conclusione di Pinazza – che purtroppo la Svizzera fatica a riconoscere». Una lezione, il pensiero dei sindaci e degli amministratori alternatisi al microfono, che anche oggi non sembra essere stata assorbita, visto che di lavoro e sul lavoro si continua ancora a morire.

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