Geografia dantesca nel Bellunese. Il “sommo” conosceva Feltre

Geografia dantesca nel Bellunese. Il “sommo” conosceva Feltre

La questione ha fatto perdere il sonno a generazioni di critici letterari e dantisti. Sì, la “a” è corretta: stiamo parlando di studiosi di Dante Alighieri, celebrato oggi con il Dantedì, perché per convenzione il 25 marzo del 1300 iniziò il suo viaggio ultraterreno tra Inferno, Purgatorio e Paradiso. E proprio all’Inferno c’è un passaggio controverso che ha diviso filologi e studiosi. Un passaggio che sembra parlare di Feltre. 

Questi non ciberà terra né peltro,

ma sapïenza, amore e virtute,

e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 

Canto primo, nella famosa “selva oscura”. La terzina costituisce le prime parole pronunciate da Virgilio, che tenta di rassicurare il poeta, atterrito dalla visione di alcuni animali spaventosi. Virgilio dice che arriverà un cane da caccia (un veltro) a scacciarli. Solo che la profezia era oscura già ai tempi di Dante, se perfino il Boccaccio dice di non comprenderla appieno.

Fatto sta che «tra feltro e feltro», soprattutto se scritto con le maiuscole (“tra Feltro e Feltro” come riportano alcuni testi) sembra proprio un’indicazione geografica di Feltre. E così l’hanno intesa alcuni studiosi: Feltre e Montefeltro. È l’interpretazione minoritaria, in ogni caso. Anche se chi la sostiene dice che la grafia usata da Dante per Feltre è proprio Feltro. Come peraltro si ritrova nel IX del Paradiso, dove si dice – altra profezia – che la città piangerà per le colpe «dell’empio suo pastor». Il riferimento è ad Alessandro Novello, vescovo di Feltre, che prima promette protezione ad alcuni fuggitivi, poi, corrotto, li tradisce.

Se non c’è un vero e proprio pezzo di Belluno in Dante (eccezion fatta per Feltro), c’è però un pezzo di Dante a Belluno. Anzi due. Il primo è il manoscritto Lolliniano 35 (dal nome della biblioteca che lo ospita, la Lolliniana, una delle due raccolte di libri del seminario), una delle copie più antiche della Divina Commedia conservate al mondo. È un testo del Trecento, a quanto pare appartenente ai cosiddetti “Danti del Cento”, un gruppo di manoscritti ascrivibili all’officina scrittoria di Francesco di ser Nardo di Barberino. In pratica uno dei rari manoscritti da cui vennero ricavate le prime copie a stampa.

Il secondo elemento dantesco è la Porta Dante, in Piazza Martiri. Inaugurata nel maggio del 1865 (sesto centenario della nascita del poeta), sostituiva la porticina utilizzata dai soldati per uscire dalle mura medievali della città, demolite nell’ultima riqualificazione che ha buttato giù anche il vecchio castello (di Piazza Castello). E negli anni del Risorgimento l’intitolazione a Dante, con tanto di busto del “sommo” che aveva cantato l’Italia e sperato nella riscossa del «giardin de lo imperio», assumeva significati particolari. Ma questa è un’altra storia. Oggi è il Dantedì e anche Belluno ha qualche buon motivo per festeggiarlo. Almeno due buoni motivi.

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