«Tavolo permanente per la salvezza della sanità in montagna»

«Tavolo permanente per la salvezza della sanità in montagna»

Un appello, un vero Sos per salvare la sanità di montagna. La Cisl Belluno Treviso chiama a raccolta il territorio e invita tutte le istituzioni bellunesi attorno ad un tavolo permanente territoriale,  che coordini proposte e provvedimenti in materia di sanità, servizi socio-sanitari e salute pubblica.

L’appello, sotto forma di documento, è già stato inviato a Usl1 Dolomiti, Provincia, Conferenza dei Sindaci, coordinatori della Rsa, Unioni montane, associazioni di volontariato e del terzo settore e associazioni datoriali. Al suo interno idee, proposte e alcuni obiettivi da raggiungere: tra gli altri avere più medici, infermieri, personale sanitario e assistenziale adeguatamente formato e valorizzato; rafforzare l’assistenza territoriale; dare sostegno ai caregiver; garantire la domiciliarità e la creazione di centri di erogazione accessibili, aperti almeno nelle 12 ore diurne; rivedere l’organizzazione della Medicina generale e pediatrica; mettere in sicurezza gli ospedali a partire dai Pronto Soccorso e dall’Emergenza-Urgenza; fare realmente delle Case della comunità una sede in grado di semplificare l’accesso ai servizi; realizzare gli ospedali di comunità.

Ed infine creare condizioni per una maggior attrattività del territorio: edilizia agevolata, servizi sociali per l’infanzia, infrastrutture materiali e immateriali. Elementi fondamentali, questi ultimi: 

Ma c’è davvero bisogno di un altro tavolo di confronto, l’ennesimo? Per il segretario generale della Cisl Belluno Treviso, Massimiliano Paglini, assolutamente sì:

Per i sindacati «È necessario un new deal per la provincia di Belluno, che sia capace di intercettare e pianificare le risorse del PNRR unitamente ai fondi di confine e ai fondi per la montagna e le aree interne. Di frammentazione e scollegamento si muore, siamo convinti che sia giunto il tempo di far sentire il peso e la voce della comunità bellunese».

I numeri, d’altra parte, sono drammatici, in una provincia che si scopre più vecchia ogni giorno che passa. «Mancano 250 professionisti sanitari e socio-sanitari – si legge nel documento inviato ai sindaci – e almeno 150 badanti, 40/50 infermieri come minimo “vitale” per garantire la sostenibilità sociale di base, circa 45 medici di Medicina generale. Infine, pensioni e redditi fermi da molti anni e aggrediti dall’inflazione stanno creando sempre più difficoltà alle famiglie a sostenere le spese per la casa di riposo, ma anche per il pagamento dei servizi domiciliari.

C’è poi il tema delle condizioni di lavoro. Con il personale sempre più ridotto all’osso si allungano i turni e peggiora il modo di lavorare. Una situazione che pesa soprattutto su infermieri e operatori socio sanitari. Così c’è chi, dopo aver lasciato il privato per il pubblico, una volta testate sulla sua pelle condizioni di lavoro impossibili, fa marcia indietro: 

La tutela della salute, insomma, spiega il sindacato, «Sta diventando sempre di più un privilegio per pochi». Con il settore privato che piano piano rischia di sostituirsi al pubblico. Quindi, che fare? Una ricetta sarebbe quella di poter lavorare sul welfare:

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