Tamponi rapidi in farmacia? Poche adesioni tra i farmacisti bellunesi

Tamponi rapidi in farmacia? Poche adesioni tra i farmacisti bellunesi

 

Tamponi rapidi in farmacia? Sarebbe bello, ma… Scarsa l’adesione delle farmacie bellunesi al protocollo d’intesa firmato a Natale tra Regione Veneto e Federfarma. Troppo complicate le regole da seguire da parte delle farmacie di paese. «Con questi protocolli e questi criteri da rispettare – dicono i farmacisti bellunesi -, impossibile per noi assicurare il servizio, dobbiamo fare un passo indietro».

Eppure il servizio, pensato per sollevare la pressione sui drive – in e aiutare gli anziani delle zone più isolate pareva calzare a pennello per la provincia di Belluno, dove le farmacie rappresentano uno dei pochi presidi per le persone. E invece.

«Nel Bellunese tante farmacie sono rurali, periferiche – spiega Federico Ricci -, condotte da una, massimo due persone. Gli spazi sono limitati e le cose da fare per condurre l’attività tante. Vien da sé che molti farmacisti non hanno proprio i mezzi per poter organizzare il drive in esterno alla farmacia o allestire una stanza internamente, da adibire ai tamponi rapidi. Crediamo sia un servizio importante per le zone periferiche, ma purtroppo siamo costretti con rammarico a fare un passo indietro perché davvero non riusciamo a rispettare tutti i paletti previsti, non ne abbiamo le forze e i mezzi».

«Non ci siamo mai sottratti alla nostra missione, ma questa volta siamo costretti a farlo», rincara la dose il presidente provinciale di Federfarma, Roberto Grubissa. «Parliamo della responsabilità? Tutto è in capo al farmacista, che deve procurarsi il tampone sul libero mercato. Non sarebbe meglio che la Regione distribuisse i test migliori in commercio per tutti?».

E poi c’è la questione degli infermieri. Secondo il protocollo dovrebbero essere loro a fare il tampone. Ma non ce ne sono. «L’Usl 1 Dolomiti ha appena concluso il concorso per l’assumerne 103 e oggi le rsa del territorio si trovano in difficoltà perché ne vengono a mancare nell’organico – conclude Ricci – figuriamoci se le farmacie della provincia riescono a trovarne di disponibili. Sarebbe altra cosa se la Regione ci mettesse a disposizione il personale. Infine, ultima ma non ultima, non possiamo permetterci di stare male: se in un piccolo paese la farmacia chiude si diffonde il panico nella comunità e questo non deve accadere».

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