Sotto la capitale, con i rumori della guerra. Villa Torlonia e i bunker di Mussolini

Sotto la capitale, con i rumori della guerra. Villa Torlonia e i bunker di Mussolini

Villa Torlonia a Roma è un luogo che non ti aspetti, un angolo di verde sorprendente lungo la trafficata Nomentana. I suoi giardini sono popolati di persone che corrono, fanno yoga, passeggiano con il cane, chiacchierano… Forse, senza sapere cosa si nasconde sotto i loro piedi.

Negli anni Venti del secolo scorso, il principe di Torlonia concesse la propria villa (con tanto di giardino) alla famiglia Mussolini che qui si stabilì nel 1929. Donna Rachele non apportò particolari modifiche all’abitazione: la rese solo più funzionale e adatta alla famiglia. Ciò che invece da subito prese altre forme fu una cantina che era stata ricavata sotto un piccolo laghetto situato in giardino; quello infatti divenne il primo dei tre rifugi, adattato e modificato per resistere a un eventuale attacco aereo su Roma. All’interno era arredato in maniera spartana, con telefono, branda, doppie porte blindate e sistema antigas.

Nel 1936 il Duce emanò alcune norme che sancivano l’obbligo di apprestare un ricovero antiaereo all’interno di tutti i fabbricati di nuova costruzione a uso abitativo. In seguito a queste norme, divenne conosciuta la Società Anonima Bergomi di Milano che si specializzò proprio nell’allestimento di piccoli e grandi bunker con porte antigas metalliche e blindate; tutto compreso, chiavi in mano. Anche nel rifugio di Mussolini si ritrovano arredi targati Bergomi; e sempre a loro si rivolse il Duce quando decise che il piccolo rifugio-cantina che si trovava sotto il laghetto e quello costruito sotto il Casino Nobile non erano più sufficienti a proteggere e difendere la sua famiglia.

Mussolini voleva un bunker nuovo fiammante a prova di bomba. E lo voleva grande, solido e costruito in fretta. I lavori iniziarono nel 1942. Gli operai scavavano a una profondità di 6 metri e mezzo in un terreno non adatto che spesso costrinse a rifare i lavori daccapo, ma  la situazione politica stava cambiando velocemente e Mussolini sentiva di non essere al sicuro. Per questo, si continuava a scavare. Il bunker, però, non vedrà mai la fine dei lavori di costruzione. Mussolini verrà arrestato prima.

 

La visita di questi luoghi sotterranei, umidi e angusti, inquieta. Seduti su una panchina in legno, a luci spente, viene proposto un sonoro che riproduce fedelmente un attacco aereo; con le sirene, i colpi esplosi, il rumore del motore degli aerei… L’ansia claustrofobica per un attimo ci pervade. Poi si riaccendono le luci e tutti, senza farci vedere, tiriamo un sospiro di sollievo. 

Oggi a Roma, nell’anno 2020, non siamo in guerra. Però, per una breve frazione di tempo, brevissima forse, abbiamo avuto una sfumata idea di ciò che potevano aver provato gli abitanti di Roma il 19 luglio del 1943, il primo attacco aereo sulla città eterna. Quello per cui Mussolini tanto si era preparato, costruendo alla velocità della luce un rifugio che sarebbe potuto diventare il bunker italiano con il più alto grado di resistenza.

Ma lui, proprio quel giorno, non era a Roma. Si trovava a molti chilometri di distanza. In altri luoghi, apparentemente più tranquilli, fra le montagne. In una villa un po’ nascosta, ma che diventerà poi famosa per uno storico incontro. Il Duce si trovava a villa Gaggia, a San Fermo, a due passi da Belluno. Ma questa è un’ altra storia.

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