Si esce solo una volta a settimana: la quarantena totale della Bolivia

Si esce solo una volta a settimana: la quarantena totale della Bolivia

Il clima generale era già pesante dopo il ribaltamento del governo avvenuto a novembre dello scorso anno. E ora per la popolazione della Bolivia si aggiunge un problema in più, lo stesso che sta affrontando il mondo intero: quello del coronavirus. Ma se la criticità coinvolge tutti allo stesso modo, non si può dire lo stesso delle misure adottate per affrontarla. Viste con gli occhi di un europeo, le azioni intraprese dal Paese sudamericano possono apparire un po’ più rigide, con quell’un po’ a suonare quasi come un eufemismo rispetto a un lockdown – il nostro – che in confronto sembra quasi libertà.

«Dal 21 marzo siamo in quarantena totale. Si può uscire solo una volta a settimana. I supermercati sono aperti dalle 7 alle 12: oltre quell’ora non si può circolare, anche se per comprare il pane a pochi metri da casa la gente esce senza essere fermata, nonostante la presenza di polizia e militari per le strade che controllano i documenti». A raccontarlo è il feltrino Daniele Gaio, classe 1982, a La Paz dal 2014 per insegnare italiano come professore della locale Società Dante Alighieri.

«La quarantena – spiega Daniele – dovrebbe finire il 30 aprile, ma tutto fa pensare che verrà estesa, anche se non si sa per quanto. La percezione è che non ci sia un piano strategico per affrontare il problema, anzi: pare che il governo cerchi di prendere tempo con i decreti che impongono di stare a casa e approfitti della situazione per continuare nella repressione delle voci dissidenti. Dopo il colpo di stato di novembre, erano state indette le elezioni per il 3 maggio. Ora non si sa quando effettivamente si terranno; alcune voci parlano di una possibile data tra giugno e settembre o anche oltre».

Qual è la situazione dal punto di vista sanitario?

«Simile al resto del mondo. Il virus è entrato a causa dell’arrivo di alcune persone provenienti dall’Italia e presto si è diffuso in tutto il Paese. Più della metà dei casi si trovano nel dipartimento di Santa Cruz, a Sud-Est. A La Paz il virus è arrivato in un secondo momento, verso la metà di marzo».

Qual è al momento la questione più urgente da affrontare?

«Come in tutto il mondo, la diffusione del contagio. A oggi i casi confermati sono 950 e i morti 50, ma tutto fa pensare che i contagiati aumenteranno. Altra questione da affrontare è il miglioramento del sistema sanitario, per ora totalmente impreparato a gestire un’eventuale aumento dei contagiati che avrebbero necessità di terapia intensiva».

Che ripercussioni avrà questa emergenza in Bolivia?

«Le conseguenze, a mio avviso, saranno pesanti. Moltissime persone vivono di commercio informale e non beneficiano di nessun aiuto statale per affrontare la crisi. C’è un buono in denaro che è stato promesso alle famiglie più bisognose, ma ammonta a circa 60 euro ed è totalmente insufficiente per far fronte ai problemi economici di chi non ha più il permesso di vendere la propria merce per strada, unico modo per sopravvivere. Attualmente, il buono è stato ritirato da circa il 42 per cento degli aventi diritto».

Sulla sua attività di insegnante, quali sono state le conseguenze? 

«Fortunatamente, stiamo proseguendo più o meno come prima grazie alle lezioni on-line. Gli studenti sono contenti di poter continuare a studiare italiano nonostante siano chiusi in casa. Abbiamo preso il problema di petto, utilizzando la quarantena per mettere a punto delle strategie a cui pensavamo da tempo, implementando piattaforme didattiche che potranno essere usate anche quando si tornerà alla normalità. La prossima settimana apriremo un corso che si svolgerà totalmente on-line anche dopo la fine della quarantena, per permettere anche a chi non vive a La Paz di studiare l’italiano a distanza».

Di quanto sta avvenendo in Italia che idea si è fatto?

«Che non ci sia molta coscienza di come affrontare il problema. Sono più di due mesi che l’Italia sta vivendo l’emergenza e l’unica soluzione prospettata è quella di non uscire di casa, mentre i morti sono ancora molti e la gente comincia a essere stanca di “obbedire” senza intravedere un percorso da intraprendere».

(si ringrazia Simone Tormen di Bellunesi nel Mondo per aver confezionato l’articolo)

 

 

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