Trecentosessanta interventi psicologici in ottanta giorni: sono numeri rilevanti. I numeri del progetto “Sostegno Psicologico Covid”, promosso dall’Ulss Dolomiti in collaborazione con l’Ail (sezione di Belluno) e il Fondo Welfare Dolomiti della Provincia.
Incertezza, ansia e paura, impotenza e tensione emotiva, nervosismo e malesseri fisici. Sono alcune delle forme di disagio che inevitabilmente – in misura maggiore o minore e a seconda di età, salute, stile di vita – ognuno ha vissuto in questo periodo.
Nella fase dell’emergenza in cui la preoccupazione era più forte, l’Unità di Psicologia Ospedaliera si è fatta promotrice dell’attività di sostegno secondo il modello della psicologia dell’emergenza, partendo dalle persone malate e da chi le cura (cittadini in isolamento fiduciario o in quarantena, pazienti e famigliari, oltre ai sanitari dei reparti covid). Il sostegno è stato poi via, via allargato.
Questo il dettaglio:
152 colloqui a favore di 39 persone Covid positive o in isolamento fiduciario;
83 colloqui di supporto a 11 famiglie di persone ricoverate per Covid;
44 colloqui di supporto nell’elaborazione del lutto a 8 familiari;
8 reparti ospedalieri e 6 case di riposo formate nella tecnica del defusing (pronto soccorso emotivo);
19 incontri di gruppo di defusing-de briefing;
33 colloqui a favore di 12 sanitari;
20 colloqui di supervisione ai coordinatori di reparto;
Inoltre, nell’ambito del progetto, non è mancato il sostegno ai medici di medicina generale: «Questa pandemia ha coinvolto in modo trasversale la popolazione facendo entrare le emozioni e i comportamenti nel vocabolario quotidiano di politici e sanitari – argomenta Francesca De Biasi, che ha guidato l’equipe formata da Chiara Forlin, Isabella Maccagnan ed Elena Sommacal, oltre che da Chiara Zaetta e dal dottor Turco -. È normale aver timore di ciò che può essere pericoloso per la nostra salute. Tuttavia le caratteristiche di questo virus, invisibile e a volte letale, hanno amplificato le paure e l’ansia rischiando di toglierci controllo ed equilibrio».
Le parole chiave? Ascoltare e normalizzare: «A ciascuno – prosegue la dottoressa De Biasi – è stato riservato un intervento adatto alla sua condizione (famigliare, malato, operatore) con spunti personali per ritrovare nella quotidianità uno spazio di auto-comprensione e cambiamento». E conclude: «Alcune professioni non hanno potuto fermarsi. E, quando la collettività è colpita in toto, la via per sentirsi meno impotenti è quella di sentirsi comunità anche nell’azione. Alcuni in una corsia, altri al supermercato, altri ancora rimanendo a casa».