«Io penso di vedere qualcosa di più profondo, più infinito, più eterno dell’oceano nell’espressione degli occhi di un bambino piccolo quando si sveglia alla mattina e mormora o ride perché vede il sole splendere sulla sua culla» (Vincent Van Gogh)
È un pensiero che scorre anche nelle vene di Elena Mina Plaito, classe 1921.
Vive in Comelico e, alle soglie del secolo, ci ricorda una vita straordinaria.
Nata nel primo Dopoguerra, ha vissuto pure il Secondo e tutte le grandi tappe della Storia fino a oggi.
La sua era una famiglia numerosa (11 fratelli), ma ha avuto la fortuna di poter studiare. All’epoca la levatrice del paese era ormai anziana e così il padre capì che per Elena forse poteva essere l’occasione per spiccare il volo. Ne aveva la stoffa.
A soli diciassette anni raggiunse due sorelle a Torino e lì cominciò il suo percorso di studi.
Elena all’epoca aveva solo la licenza elementare in tasca e dovette buttarsi anima e corpo nello studio. Prima la licenza media, tre anni in uno. Poi, con determinazione, entrò in ospedale in modo da continuare la teoria e la pratica per diventare ostetrica. La testa sui libri? Ma soprattutto il cuore: una missione per Elena.
Una missione straordinaria, in un tempo in cui il lavoro femminile non era molto riconosciuto. Difficile affermarsi.
Diplomatasi a pieni voti, tornò subito nelle sue valli. Il rientro la vide subito all’opera: c’era un bimbo da far nascere. Era il 1941.
Si nasceva in casa, a quei tempi: lei, la sua valigia da dottore in mano e tanta fame di vita. Capì subito dal primo parto che c’era bisogno di cambiare tante cose. Fu pioniera in questo: l’educazione all’igiene al primo posto. Con la povertà e i pochi mezzi, non era facile. Molte donne morivano di parto, di setticemia. Cambiò allora lei le regole insegnando che, pure con i pochi mezzi di allora, si poteva fare qualcosa. E quel qualcosa salvò molte mamme: «Con me nessuna donna è morta di parto!», ama ripetere. Per i bambini invece, niente ecografie, niente analisi preventive o monitoraggi.
Ricorda, nonna Elena, che molte volte avvolgeva bimbi prematuri in una coperta e li metteva vicino alla stufa con la porticina del forno aperto: un’incubatrice naturale. Per i problemi più seri, il primo presidio ospedaliero era a Feltre. Con il taxi, perché le auto private erano poche. Lei sempre vicino alle neo mamme, sventolava dal finestrino un fazzoletto bianco. E se non bastava? Ecco che era pronta a togliersi il camice bianco per arrivare nel modo più celere possibile a Feltre.
Un’esistenza vissuta a pieno, mamma a sua volta, Elena ha sempre trovato il giusto compromesso tra famiglia e lavoro. Uno non esclude l’altro, soprattutto se c’è amore per entrambi. Quell’amore che la faceva saltare dal letto di notte, chiamata da qualche papà agitato, magari negli inverni rigidi di allora.
Ha fatto nascere bimbi anche durante i bombardamenti. Sotto gli occhi dei tedeschi, non ha mai mostrato paura. Aveva la vita in mano e doveva dare tranquillità alla neomamma. Masticava un po’ il tedesco e questo la aiutò.
L’uovo era l’unica forma di compenso che una famiglia le aveva riservato dopo l’assistenza. Sapeva essere autorevole nel suo ruolo, ma c’era di più: l’attenzione alle piccole cose, ai bisogni di chi aveva davanti.
Una vita davvero movimentata: a volte a bordo di una slitta o su sentieri ghiacciati. A volte lasciata sola nell’euforia dei futuri papà, che si fermavano a festeggiare in qualche locanda e si dimenticavano di lei in luoghi bui, isolati. Ma è sempre riuscita anche da sola raggiungere frazioni sperdute, isolate.
Amore e dedizione racchiusi nella sua valigia da dottore. Questa è Elena, una donna controcorrente, che ha navigato nell’esistenza di tanti bambini, tante storie. Fuori dal tempo e dagli schemi. Una donna che ha salvato molte anime, grazie alla sue conoscenze e al coraggio di cambiare, non senza fatica, le abitudini poco sane di allora.
Una pioniera che ha attinto con le sue mani alla vita e ha saputo poi trasmetterla a figli e nipoti. Elena, con i suoi 99 anni, fiera di ciò che ha dato e gelosa della sua valigia.
La stessa valigia che con garze, forbici e pinze, racconta una storia vera: la vita.