Non bastavano le turbolenze globali, che hanno fatto calare di molto nel 2024 l’export delle imprese bellunesi. Ci si mette anche Donald Trump: il neo presidente americano, come noto, ha avviato mercoledì scorso (2 aprile) una politica di dazi che rischia di impattare fortemente sull’economia dei nostri territori. Quanto? Secondo una ricerca di Prometeia per il Sole 24 Ore, la provincia di Belluno sarebbe la quarta in Italia più colpita, principalmente a causa dei rischi che corrono l’’occhialeria e la meccanica, fortemente connesse con l’economia d’oltreoceano. Più che normale, quindi, che scatti la preoccupazione del settore. Se ne fa portavoce Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno – Dolomiti.
«Questi dazi rappresentano un serio ostacolo per un territorio come il nostro, altamente specializzato e fortemente esportatore – sono le parole di Berton -. L’occhialeria, in particolare, con marchi e produzioni di eccellenza riconosciuti a livello mondiale, e il comparto della meccanica di precisione, vedono oggi messa in discussione la loro competitività su un mercato strategico come quello statunitense»
Nel 2024 – spiega Confindustria – l’export provinciale ha superato i 3,8 miliardi di euro, con il settore dell’occhialeria che da solo rappresenta oltre il 75% del valore complessivo. Gli Stati Uniti si confermano tra i primi mercati di riferimento, pur registrando un calo del 25,4% sull’anno precedente, pari a circa 296 milioni di euro in meno, segnale tangibile delle tensioni commerciali in atto.
Lo confermano anche i dati dell’Ufficio studi e statistica della Camera di commercio. «Per Belluno – si legge nel report sull’interscambio commerciale – gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di destinazione dell’export provinciale: il peso è pari al 18,5%. Nel 2024 sono state realizzate vendite per oltre 930 milioni di euro, per la maggior parte occhialeria (oltre 871 milioni, pari al 94% del totale). La riduzione del -23,9% rispetto all’anno 2023 è determinata principalmente dall’occhialeria, effetto, forse, anche di processi di riorganizzazione delle catene globali del valore. In calo è anche la seconda voce dell’export provinciale verso gli USA: i macchinari (-15,6%). In controtendenza positiva le vendite di prodotti di elettronica/apparecchi medicali e di misurazione.
«L’effetto immediato sarà un aumento dei costi, una riduzione della marginalità e una complessiva revisione delle strategie di fornitura e distribuzione – continua Berton –. Ma a preoccupare è anche il quadro di lungo periodo, con un potenziale disallineamento strutturale degli equilibri commerciali globali e il rischio concreto di un processo di rilocalizzazione industriale verso gli USA, come dichiarato apertamente dall’amministrazione Trump. Uno scenario che mina alla base il modello produttivo europeo fondato su integrazione e specializzazione».
Già. Ma quindi, che fare? «È necessario che l’Europa reagisca in modo unitario, proporzionato e strategico – conclude la numero 1 degli industriali bellunesi – evitando escalation tariffarie che danneggerebbero entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma è altrettanto urgente – a livello nazionale – mettere in campo misure straordinarie per sostenere le imprese. Condividiamo la proposta avanzata da Confindustria di introdurre strumenti fiscali come i superammortamenti al 120-130% sugli investimenti produttivi e i crediti d’imposta per le aziende più esposte. Sono strumenti concreti, già sperimentati con efficacia, che possono rafforzare la competitività e salvaguardare l’occupazione».
L’AGRICOLTURA
La preoccupazione verso le azioni americane è fatta propria anche dagli agricoltori: «Siamo preoccupati, perché nel Bellunese il valore dell’export è pari al 60% dell’attività produttiva locale – spiega Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura Belluno – e se calano le esportazioni, che erano in crescita vertiginosa, i prodotti si riverseranno sul mercato nazionale, che è in fase di stallo. C’è un calo dei consumi, infatti, che lo porta ad essere fermo. Per quanto riguarda l’agricoltura il timore è soprattutto per il latte, dato che Lattebusche è il più grosso produttore veneto di Grana Padano, con oltre il 50% del prodotto che viene impiegato in formaggio. Inevitabili, quindi, le ripercussioni sul comparto, se verrà a mancare uno sbocco per le esportazioni. Ma tutta la nostra produzione in generale può subire ricadute negative, perché le guerre, che siano commerciali o di altro tipo, non portano mai a nulla. Ci auguriamo che continuino le trattative tra Ue e Stati Uniti, per trovare un accordo, ma nel frattempo dovremo individuare strategie per salvaguardare le nostre produzioni».