Dai prati di montagna una pianta degna di un re: il Buon Enrico

Dai prati di montagna una pianta degna di un re: il Buon Enrico

Nome insolito per una pianta. Quasi nobile. E in effetti, il grande botanico Linneo lo ha chiamato così – Chenopodium Bonus-Henricus – in onore di un re. Il “Buon Enrico” (peruch in tutta la Valbelluna) sarebbe lo spinacio selvatico. Cresce spontaneo in tutta la fascia prealpina e sulle Dolomiti fino a 2.000 metri. Predilige i pascoli, ma lo si trova tranquillamente anche nei prati di media montagna. E deve il suo nome a Enrico IV di Navarra. Il fondatore della dinastia dei Borboni, famoso per la conversione al cattolicesimo funzionale a prendere il potere («Parigi val bene una messa» è copyright suo).

Lo spinacio selvatico è pianta degna di un re? A quanto pare sì. La vulgata vuole che il re avesse particolarmente a cuore il benessere dei suoi sudditi. A tal punto da consentire loro di entrare nel parco del suo giardino, per raccogliere bacche ed erbe spontanee commestibili; da qui sarebbe nato il soprannome di “Buon Enrico” richiamato anche da Linneo. Di sicuro Enrico IV ebbe fama di valido monarca e di persona buona; e di sicuro amava il colore verde, almeno al pari di quanto apprezzava le donne, tanto da meritarsi il nomignolo di Vert Galant (“il donnaiolo verde”). Per questo è anche il patrono dei botanici.

Il “Buon Enrico” però è buono anche in cucina. Ottime le foglie basali più giovani e tenere che possono essere cotte come i più nobili spinaci e utilizzate per preparare ripieni o frittate. Chi gradisce i sapori “terrosi”, può mangiarle anche crude, in insalata con un po’ di olio, sale, pepe e succo di limone.

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