Chi rifiuta le monoclonali? Rischia la terapia intensiva

Chi rifiuta le monoclonali? Rischia la terapia intensiva

Sono la seconda colonna della lotta al coronavirus, accanto ai vaccini. Gli anticorpi monoclonali, autorizzati dall’Aifa dallo scorso mese di marzo, funzionano e aiutano a non finire in ospedale. L’Ulss 1 Dolomiti ne fa buon uso, finora sono oltre 200 i pazienti curati con questa terapia. Ma c’è chi, pur avendo la possibilità di utilizzarli, li rifiuta. E per lui il rischio di ricovero aumenta, soprattutto se non è vaccinato.

Lo riferisce  il primario del reparto delle malattie infettive di Belluno, Renzo Scaggiante. «Il 10-15% dei positivi non vaccinati a cui viene offerta (e rifiutata) la terapia li ritroviamo dopo 7-10 giorni in ospedale, con la malattia ormai conclamata e conseguente ricovero, anche in terapia intensiva».

La tempestività di intervento in questo caso è fondamentale. Per questo motivo l’Ulss1 ha deciso di non utilizzare il portale di segnalazione dei casi candidabili messo a disposizione dalla Regione, ma di chiamare telefonicamente, ogni giorno, tutti i nuovi positivi che hanno le caratteristiche adatte.

Al telefono, spesso, lo stesso Scaggiante. «Abbiamo cominciato con gli over 65, chiedendo se avessero diabete, obesità, pneumopatie, cardiopatie o altro, invitandoli alla somministrazione dei monoclonali, che viene fatta nel nostro reparto per via endovenosa. Un’iniezione della durata di un’ora con successiva osservazione. In questo modo siamo riusciti ad intercettare in tempi molto brevi la gran parte di pazienti con tampone positivo e quindi abbiamo allargato le chiamate anche agli over 50. Attualmente contattiamo giornalmente dalle 30 alle 50 persone con tampone positivo e, somministrando dai 15 ai 20 monoclonali la settimana».

Ogni persona trattata con le monoclonali è un letto di ospedale occupato in meno. «In questo modo siamo riusciti a ridurre significativamente i ricoveri ospedalieri – conclude Scaggiante – ottenendo anche una guarigione più veloce delle persone trattate».

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