Caldo e acqua di fusione: così è collassato il ghiacciaio della Marmolada

Caldo e acqua di fusione: così è collassato il ghiacciaio della Marmolada

Quali sono state le cause che portarono, il 3 luglio dell’anno scorso, al distacco di parte del ghiacciaio della Marmolada? A nove mesi dalla slavina che travolse e uccise 11 alpinisti, ferendone altri 7, arriva il primo studio che indaga le possibili cause e i meccanismi del collasso. 

E’ stato realizzato da un team internazionale, coordinato dal professor Aldino Bondesan dell’Università di Padova, e pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista “Geomorphology” (ripreso anche negli highlights di “Nature”)

«La valanga di ghiaccio e detriti , formata da circa 64.000 tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti rocciosi – spiega Unipd in una nota – si è arrestata in un canalone dopo aver percorso circa 2,3 km lungo il pendio. Il crollo è avvenuto nella parte alta del versante settentrionale della Marmolada alla quota di 3.213 metri e ha interessato un lembo sommitale del ghiacciaio, nei pressi di Punta Rocca. Questo piccolo ghiacciaio residuale era parte integrante dell’ampia fronte glaciale fino a circa un decennio fa, e oggi, a causa della frammentazione causata dall’arretramento, è rimasto isolato e racchiuso entro una nicchia sul versante esposto a settentrione appena al di sotto della cresta».

Ad aiutare gli scienziati ad analizzare le cause del collasso anche i numerosi video registrati da escursionisti che si trovavano in zona. L’energia sismica rilasciata dall’evento è stata paragonabile a un terremoto di magnitudo pari a 0,6.

«Un’analisi dettagliata delle immagini satellitari e aeree stereoscopiche, scattate prima e dopo l’evento, ci ha consentito di analizzare le modalità di collasso – spiega Bondesan -. Il distacco è stato in gran parte causato da un cedimento lungo un crepaccio mediano, in parte occupato da un enorme volume di acqua di disgelo generato dalle temperature altamente anomale della tarda primavera e dell’inizio dell’estate». Al momento dell’evento, infatti,  ai 3.000 metri di Punta Penia erano stati raggiunti i 10.7°C.

La fitta rete di crepacci, insieme alla morfologia e alle proprietà della superficie rocciosa basale hanno predisposto questo settore glaciale al collasso,  la cui causa scatenante è da individuarsi nella pressione sovrastante causata dall’eccesso di acqua di fusione. «Sono stati individuati due meccanismi concomitanti che hanno provocato l’instabilità – prosegue Bondesan – con conseguente crollo improvviso del ghiacciaio: l’acqua infiltrata all’interno di un crepaccio del ghiacciaio ha causato da sotto una pressione tale da sollevare lo strato di ghiaccio; quando l’acqua è penetrata all’interno dei sedimenti basali si è verificata una spinta al galleggiamento, essendo il ghiaccio meno denso dell’acqua».

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