Vittime delle foibe, è il “Giorno del ricordo”: «Che rumore fa il silenzio?»

Vittime delle foibe, è il “Giorno del ricordo”: «Che rumore fa il silenzio?»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Andrea Stella (Fratelli d’Italia), consigliere comunale a Belluno

Che rumore fa il silenzio? Nessuno in teoria. Però a volte, ma solo a volte, ci sono silenzi che suonano come urla laceranti, che straziano il cuore.

L’esodo delle popolazioni di Istria, Fiume e Dalmazia è uno di questi silenzi.

Il tutto ha inizio ufficialmente il 10 febbraio 1947 quando l’Italia firmò il trattato di pace con gli alleati: perdeva le colonie dell’Africa, le isole dell’Egeo e i piccoli distretti alpini di Briga, Tenda e Moncenisio.

Inoltre l’Italia subiva un’amputazione di particolare ampiezza col trasferimento, a favore della Jugoslavia, della sovranità nazionale sulla Dalmazia, sull’Istria e su buona parte della Venezia Giulia, senza contare la stessa Trieste, per cui venne ipotizzata la costituzione di uno Stato indipendente, il cosiddetto Territorio Libero.

Non sembrò logico che il prezzo della guerra perduta fosse pagato con la cessione di tante città ad alta maggioranza italiana e di due regioni (pari al 3% del territorio nazionale), alle formazioni del Maresciallo Tito, scelto, pochi mesi prima, dagli Alleati come interlocutore al posto del governo legittimo in esilio.

Si designarono così le vittime: Giuliani, Istriani e Dalmati, costretti ad un Esodo forzato che avrebbe coinvolto circa 350.000 persone, pari al 90% della popolazione presente. Dovettero, nel mentre, subire l’applicazione del piano di pulizia etnica ad opera di Tito che aveva già assunto la dimensione di una grande tragedia collettiva sia nella prima ondata del settembre 1943 ed in quella più vasta del 1945.

Il grande Esodo ebbe luogo in tempi diversi: Dalmati e Fiumani furono i primi, mentre buona parte degli Istriani e la quasi totalità dei Polesi concentrarono le partenze nel 1947, per lo più tra gennaio e marzo. Fu questa la data del trasferimento effettivo di sovranità e di consegna delle chiavi di Pola, nelle mani di Ivan Motika.

Una grande città, Pola, cha passò da una popolazione di 32.000 abitanti a soli 2.000. 

L’ultima ondata di esuli del 1954, dopo uno stillicidio che era continuato di anno in anno, avvenne come conseguenza del ritorno della sola Trieste all’Italia e la consegna della zona B (Capodistria e le città nord- occidentali dell’Istria) alla Jugoslavia.

Le violenze erano proseguite per anni, ben oltre la fine della guerra, persino con uccisioni di vecchi, di donne e addirittura di invalidi, e avevano trovato una triste espressione simbolica proprio a Capodistria, dove il Vescovo Monsignor Antonio Santin venne aggredito e picchiato a sangue.

L’esodo ha complessivamente coinvolto circa 350.000 persone. Ma che cosa sono decine di migliaia di persone? Sono mestieri, professioni, identità, singoli individui con le loro storie personali, se ne andavano al di là del mare, verso l’ignoto.

Solo nel 2004 il Parlamento italiano ha istituito il Giorno del Ricordo. La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara, e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.

Il Giorno del ricordo viene oggi celebrato dalle massime autorità politiche italiane con una cerimonia solenne. Tale cerimonia si è spesso svolta al Quirinale, al cospetto dei Presidenti della Repubblica succedutisi negli anni, i quali, oltre a conferire le onorificenze alla memoria ai parenti delle vittime. Va ricordato poi che la commemorazione del Giorno del ricordo ha regolarmente luogo ogni anno anche in diverse assemblee regionali nonché in moltissimi consigli comunali.

Perché tutto questo silenzio e questa inesauribile voglia di dimenticare il proprio popolo? Perché gli esuli erano visiti semplicemente come dei “fascisti”. Tant’è che gli attivisti del Pci andavano alle stazioni per insultare i profughi, i ferrovieri della Cgil si rifiutavano di manovrare i treni che li trasportavano. Era vietato perfino usare questa parola, “esilio”.

Il presidente italiano Pertini esaltò Tito, suo amico fraterno, e da lui considerato esempio incomparabile di progressismo socialista e creatore di una nuova società dove i tristi antagonismi nazionali, frutto di una mentalità borghese e reazionaria, erano stati definitivamente eliminati.

In ricordo degli esuli istriani, giuliani e dalmati, che furono costretti ad abbandonare le loro terre per fuggire, poiché si sentivano italiani. In ricordo di tutti coloro che furono picchiati, torturati ed infine infoibati, perché si rifiutarono di baciare la bandiera jugoslava.

Doppiamente onore a tutti i morti nelle foibe per aver ricevuto il dolore del sacrificio e l’umiliante silenzio della storia.

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