È stato per secoli il simbolo indiscusso della Serenissima. Si trovava ovunque, dalla terraferma veneta a Bergamo, dall’Istria al mar d’Azov. Anche a Belluno, ovviamente; la cittadina dolomitica è stata sotto la Repubblica Veneta dal 1404 (consegnatasi spontaneamente al dominio dei doge) al 1797 (quando il trattato di Campoformio segnò il passaggio all’Austria), e di leoni di San Marco ce ne sono stati parecchi in città. Oggi, però, non se ne trovano più. O meglio: ce ne sono ancora due, ma non sono certo di epoca veneziana.
Il motivo? Presto detto. È quello che Alberto Rizzi (famoso storico dell’arte veneziana) chiama “leontoclastìa”. Una pratica in voga anche oggi in politica: arriva un nuovo padrone e la prima cosa che fa è piazza pulita dei simboli del vecchio dominante. E così hanno fatto le truppe francesi entrate a Belluno dopo la caduta della Serenissima: via tutti i leoni di San Marco. I soldati avevano l’ordine preciso di eliminarli a colpi di martello e scalpello (qualcosa di molto simile è successo ai leoni dell’Istria e della Dalmazia, negli anni della Jugoslavia di Tito).
La sorte capitata ai simboli del dominio veneziano è ben visibile in piazza delle erbe. Basta sollevare un attimo lo sguardo sulla facciata di Palazzo Costantini (l’edificio all’angolo tra la piazza e via Pierio Valeriano, proprio di fronte ai banchi della frutta). Si vede un riquadro di marmo. Si intuiscono le forme del leone. Ma nulla di più: la Serenissima è caduta a colpi di scalpello. E così è successo a tanti altri leoni che un tempo furono presenti a Belluno.
Eppure, se ne possono vedere ancora due. Uno si trova nella stele davanti alle Poste Centrali. Una riproduzione di epoca fascista. L’altro, invece, campeggia sopra Porta Dojona, all’ingresso di via Mezzaterra. Con una scritta: «Questo leone di San Marco, posto nel secolo XV sulla porta interiore, fu qui riposto nel 1874, in luogo dell’abbattuto dai francesi nel 1797».