«Sono un agricoltore, un padre, un malato di cancro. La mia vita vale 184 euro»

«Sono un agricoltore, un padre, un malato di cancro. La mia vita vale 184 euro»

Una lettera, ma potrebbe essere tranquillamente un pugno nello stomaco. Una sberla in pieno volto. Un gancio dritto alla mascella, di quelli che fanno male. Per davvero.

E fa male – per davvero – il messaggio che un giovane bellunese ha scritto alla presidente del consiglio. La lettera di un agricoltore, un padre di famiglia, malato di cancro, a cui l’Inps versa appena 184 euro al mese. Il resto è frustrazione, rabbia, più che fame o fatica a tirare la fine del mese. La delusione per un sistema Paese che non può funzionare così.

«Gentile Presidente del Consiglio, cara Giorgia, sono un papà, un agricoltore, un malato. La mia vita vale 184 euro, per lo Stato, e vorrei chiederti ragione di ciò» scrive Jacopo Emma, di Belluno, titolare di Terra Umana, fattoria didattica e sociale in zona Sois. Affida i suoi pensieri a Facebook e spera che qualche riga possa arrivare fino a Palazzo Chigi.

«Sono un padre come tanti. Un contadino tra le Dolomiti, come tanti. A luglio ho scoperto di avere un tumore, come tanti; al quarto stadio, su quattro. Faccio un sacco di chemio, come tanti. Ma a differenza di altri, non ho alcun diritto. Non seminerò né raccoglierò fino a quando non guarirò o morirò. Fino a quando questo bug genetico non verrà resettato dal mio sangue, dalla mia milza, dalle mie ossa e dal mio midollo. Non posso più lavorare nei campi, né stare a contatto con gli animali perché la chemio mi abbatte le difese immunitarie. Non posso tornare a fare l’educatore con la disabilità o qualche supplenza, come facevo prima di aprire partita Iva, perché non posso stare in luoghi chiusi in mezzo alla gente. Non ho diritto alla pensione di invalidità perché l’anno scorso ho ricavato più di 17mila euro (lordi, da cui togliere le spese) in un anno. Non ho diritto all’accompagnatoria o al posteggio disabili perché secondo una commissione fatta da burocrati disconnessi dalla realtà io sono autonomo. Autonomo di pisciare, lacrimare e vomitare con dolore. Autonomo di stramazzare su un divano come un cadavere per la settimana successiva all’infusione. Autonomo di non riuscire nemmeno a fare la doccia ai miei bambini».

Jacopo Emma sottolinea un particolare non trascurabile: «L’Inps mi sostiene con 184 euro di inabilità al mese. Io pago allo stesso Inps 220 euro al mese per garantirmi una futura pensione di 520 euro, pensione di cui un agricoltore può meritatamente godere dopo 40 anni di lavoro senza ferie, malattie, tredicesime… Nessun diritto. Solo doveri».

La lettera aperta a Giorgia Meloni va dritta al punto. Alla domanda: «a un contadino malato, morente, o appena guarito chi ci pensa? I contadini sono l’1-2% della società occidentale. Oggi, una persona ogni cento produce il cibo per gli altri 99. A uno di quei pochi individui rimasti sui campi che vi porta il cibo sulle tavole… Chi pensa a lui? Non scrivo per me. Io sono un privilegiato. Casa di proprietà, moglie lavoratrice, ricco nord-est. Si va avanti. Non chiedo nulla. Non voglio nulla. Non pretendo nulla. Ma quando si ammala il mio collega della pianura padana con i trattori in leasing e la stalla della banca? Il mio amico casaro del sud con le mani ustionate nell’acqua bollente a filare tutte le mattine alle 5 per pagarsi il caseificio? Il malgaro sulle nostre cime, ultimo alfiere della sopravvivenza dei pascoli alpini? Il pastore del centro Italia, paladino culturale della transumanza che solca la nostra nazione da migliaia e migliaia di anni? Come fanno loro ad andare avanti e far sopravvivere una famiglia con la chemio nel braccio e 184 inutili euro al mese? Te lo dico io: vendono tutto. Si spengono le luci e si chiudono i sipari sui saperi, sulla produzione, sulla storia e su una parte di cultura del nostro Paese. So che tutti hanno bisogno, tutti ti “tirano per la giacca”. Ma un fondo per tenere in vita chi ci tiene in vita con il cibo… credo sia giunto il tempo».

Tutte le foto sono di Jacopo Emma, Terra Umana

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