Sì all’antispopolamento, no a (tutti) i migranti. La Lega “apre” all’accoglienza degli ucraini 

Sì all’antispopolamento, no a (tutti) i migranti. La Lega “apre” all’accoglienza degli ucraini 

Sbarcare in montagna sembra una contraddizione in termini. Non per la Lega. Che dice no agli sbarchi sul suolo patrio. Però apre alla possibilità di accoglienza nelle “terre alte” degli stranieri che risultano più facilmente integrabili. Tipo gli ucraini. 

«È fondamentale che passi un messaggio: che in Italia non è così semplice sbarcare. I nostri rappresentanti a Roma devono dare questo segnale, altrimenti rischiamo di venire travolti da un’ondata che non riusciremo a gestire. Si parla di 25mila persone che sbarcano ogni dieci giorni sulle coste italiane, come facciamo a reggere questi flussi?» tuona Andrea De Bernardin, segretario provinciale della Lega. 

A preoccupare il Carroccio sono i numeri: le proiezioni parlano di 700 milioni di persone in movimento nel 2030 con un progressivo aumento che porterà il flusso oltre un miliardo. Le mete restano i continenti e i Paesi ricchi, Nord America ed Europa. Il rischio, spiega il rappresentante provinciale della Lega in provincia, è il collasso del sistema. 

«Alcuni miei colleghi sindaci nei giorni scorsi hanno rilasciato dichiarazioni che non mi vedono affatto d’accordo, parlando della possibilità di risolvere o quanto meno tamponare la perdita di popolazione bellunese con l’integrazione di un numero di immigrati pari ai cittadini che lasciano il nostro territorio – commenta De Bernardin -: la trovo un’ipotesi fantasiosa, campata in aria, francamente, e non perché io non creda a priori al concetto di integrazione, ma perché mi sento di ragionare in modo pragmatico e con i piedi saldi a terra». Occorre fare un distinguo, spiega il segretario, tra l’accoglienza di popoli culturalmente vicini e facilmente integrabili con quella di popolazioni più distanti per usi costumi e cultura, all’Europa. 

«Penso ai cittadini ucraini, a 98% di religione cristiana e che hanno dimostrato in questi mesi di voler trovare un lavoro qui per rendersi indipendenti dal sistema pubblico di aiuti e costruirsi una vita – aggiunge -; purtroppo sappiamo che non è così per tutte le popolazioni e che il nostro sistema italiano ha un po’ abituato alla sussidiarietà non favorendo, in questo modo, la vera integrazione. Non paragoniamo, mi si faccia un piacere, questa emigrazione a quella dei nostri bellunesi verso la Svizzera e l’America nel secolo scorso e ancora prima: allora si emigrava per lavorare duramente, mandare più soldi possibile a casa e poi fare rientro dalla famiglia non appena le condizioni economiche lo consentivano. Oggi si scappa a causa dei terribili cambiamenti climatici che rendono invivibili certe zone della Terra e a causa dei conflitti: io non credo che queste persone vogliano fare ritorno facilmente nel loro Paese e non sono nemmeno così certo che considerino l’Italia come territorio di passaggio per insediarsi, poi, in Inghilterra, Germania e nei Paesi Scandinavi come dicono molti».

«Alla luce di queste considerazioni, realistiche, io invito tutti a guardare al fenomeno che abbiamo davanti in modo oggettivo – conclude De Bernardin -: piacerebbe a tutti pensare di risolvere il problema dello spopolamento delle nostre terre alte con l’arrivo di famiglie straniere che qui iniziano progetti di vita, magari prendendo in mano aziende agricole e assicurando continuità in tutti quei lavori dove oggi fatichiamo a trovare personale. Io sarei il primo a gioire di questo e a favorire gli arrivi, se così fosse. Ma non è così e ce lo dice la realtà dei fatti: c’è sempre meno interesse verso gli impieghi sicuri e a tempo indeterminato a favore di lavori saltuari. Io chiedo, siamo certi che questo problema potrà essere risolto accogliendo chi arriva nel nostro Paese? Io, personalmente, non credo».

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