Quero e il recinto di umanità nel campo d’internamento degli ebrei

Quero e il recinto di umanità nel campo d’internamento degli ebrei

«È un gran miracolo che io non abbia rinunciato,

a tutte le mie speranze,

perché esse sembrano assurde e ineluttabili.

Le conservo ancora, nonostante tutto: perché 

continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo». 

Anna Frank 

Quero si estende ai piedi del monte Cornelia, stretto tra la Destra e Sinistra Piave. E nella Prima guerra mondiale vide cruente battaglie. È al confine tra la Valbelluna e la Marca trevigiana: 2.550 anime. 

Ma come mai si accende un faro su questo paese tranquillo?

Perché, nel giorno della memoria, proprio Quero non dimentica un evento straordinario che diede una ventata di umanità a un periodo in cui la crudeltà della guerra aveva reso i cuori sterili.

Tra il 1943 e il 1944, a Quero venne costruito un campo di internamento di ebrei, obbligati a risiedervi e sottoposti a condizioni di vita al limite dell’umano. I più erano ragazzi e giovani donne, strappate alla vita con crudeltà. Arrivavano a loro volta dal campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Destinazione? Auschwitz.

Quero era una tappa. Una tragica tappa. 

Tra i ragazzi del paese ci fu subito una sorte di mobilitazione solidale. E, sfidando le regole ferree del tempo e il pericolo del nemico presente, intrecciarono diverse amicizie che segnarono per sempre i cuori da ambo le parti. Le famiglie si strinsero attorno al campo di internamento, accerchiandolo d’amore, per quanto si potesse: una patata, un paio di calzini, una stretta di mano.

Alcuni scatti conservano la memoria di quanto accaduto. Bank Hersz, Kass Jakob non sono solo nomi, ma vite che hanno subìto crudeltà inaudite, con una parentesi di amore a Quero, dove arrivarono perfino due gemellini. 

Poi un giorno non ci furono più patate da portare o mani da stringere: il campo non c’era più. Caricate nei camion dai nazisti, quelle anime se ne andarono per sempre. Non tutti per fortuna ebbero lo stesso destino: alcuni finirono nel Sud Italia a Napoli. E si imbarcarono per l’America.

E i gemellini? Di uno si ha notizia: medico all’ospedale di Manhattan, a fine anni Sessanta ebbe due figli. Chissà se quel padre ha mai parlato del periodo passato a Quero e del cuore dei suoi abitanti. Sembra una favola. Ma è vita: vita tragicamente vera.
Alla prossima!  

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