Pasqua di resurrezione. Per gli allevatori dell’Alpago è stato proprio così. Altro che Venerdì Santo. Perché all’inizio dell’emergenza si poteva pensare che il lockdown avrebbe creato grossi danni a uno dei prodotti tipici sulle tavole pasquali. Con i ristoranti e gli agriturismo chiusi, l’ipotesi più accreditata era tragica: carne invenduta e danni economici per le aziende agricole dell’agnello dell’Alpago. Le stime più prudenziali davano per “morti” due terzi della carne macellata. Non è stato così.
La Fardjma, cooperativa che raccoglie tutti gli allevatori della tipica razza alpagota, non ha fatto registrare un calo nelle vendite. Neanche minimo. Miracolo di Pasqua, della tradizione certo. Ma anche della rete di vendita. «La Camera di Commercio e le associazioni di categoria ci hanno aiutato a raggiungere un numero maggiore di macellerie – spiega Zaccaria Tona, uno dei soci della cooperativa –. Il numero di agnelli venduti quest’anno è uguale a quello degli anni passati. E questo, nonostante la filiera della ristorazione fosse chiusa».
Certo, non è stato facile: la cooperativa ha dovuto adattarsi e modificare parecchio le modalità di vendita e promozione. «Per fortuna abbiamo il laboratorio in cui trattiamo la carne, altrimenti non avremmo potuto rispondere alla richiesta dei singoli clienti, che desideravano tagli di carne specifici – continua Tona -. Lavorare in questo modo è stato abbastanza complicato, ma necessario». Insomma, di necessità virtù. Gli allevatori, un po’ come tutte le altre attività, hanno dovuto reinventarsi in modo tale da continuare a lavorare. Archiviata la Pasqua, però, sperano di archiviare anche il virus, per tornare alla normalità.
A dirla tutta, però, c’è un problema che non riguarda il calendario e le festività. E neppure le macellerie e la distribuzione. Se il lockdown è stato risolto con la rete dei contatti creata da Camera di Commercio e associazioni, la rete anti-lupi pare essere inadeguata a tenere lontano il grande predatore. «Gli attacchi continuano. Non meno di due a settimana. Non ne possiamo più – conclude Tona –. Anche le reti che la Regione ci ha consigliato di installare non funzionano più. È necessario intervenire in qualche modo per allontanare il lupo dall’Alpago».
(si ringrazia Giovanni Bianchini per aver confezionato l’articolo)