Moreno, il Pesce di montagna in una vita da libro

Moreno, il Pesce di montagna in una vita da libro

È nato a Noale (in provincia di Venezia), ma è a tutti gli effetti un figlio della montagna bellunese. Magari adottivo, ma pur sempre figlio. E non solo perché ha la residenza ad Auronzo di Cadore. 

Lui è Moreno Pesce. Un uomo che è sempre andato di corsa: «A volte troppo», ammette. E il destino glielo fa notare nella maniera più spietata: con un grave incidente motociclistico, nel quale Pesce perde una gamba.

Ma l’amputazione dell’arto non lo ferma. Al contrario, è la molla che lo spinge a portare a termine una serie di scalate. E di imprese. Sempre e rigorosamente in montagna: dal Monte Bianco al Monte Rosa, passando per la Marmolada e l’Etna, quattro volte la Streif e Kitzbuhel, il ghiacciaio Presena e la Grande di Lavaredo. «Ho imparato a guardare, pensare e aspettare. Dopotutto, perdere una gamba non è poi così grave. Sono rinato nel momento in cui ho capito che la sola differenza, rispetto a prima, è che sono soltanto un po’ più lento quando corro o cammino». 

Così, Moreno si cimenta in percorsi, trail, Vertical, gare a tratti estenuanti, al limite delle sue possibilità. Vuole vivere ogni istante al meglio, godere del silenzio intimo della montagna, respirare il profumo della quota: «Ogni impresa significa vita, nutrimento per il corpo e per l’essere». 

Le conquiste di Pesce iniziano ad avere un’eco nazionale: tanto è vero che Moreno si merita la nomination della Gazzetta dello Sport fra gli “atleti paralimpici del 2020”. E raccoglie qualcosa come 30mila voti. Il suo percorso è un esempio. E adesso è pure un libro: si intitola “L’arto fantasma e le mie paure” (Michael Edizioni). «I limiti sono solo nella mente delle persone e a noi spetta il compito di abbatterli con le nostre gesta». 

Parola dello scalatore con l’arto fantasma. 

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