Prima di essere un dottore, un professionista legato al mondo della sanità e il direttore di Malattie infettive, Renato Scaggiante è un uomo. Con le sue emozioni e i sentimenti. Le certezze e le paure. E i ricordi.
Già, i ricordi. Impossibile dimenticare quel venerdì di fine febbraio dello scorso anno: il calendario indica il giorno 21. Sembra una giornata come tante. Sembra: «Il mio turno di lavoro era dalle 9 alle 21 – racconta Scaggiante – nella divisione di Malattie infettive dell’Azienda ospedaliera di Padova. All’improvviso, nel pomeriggio, una telefonata: è in arrivo dal vicino ospedale di Schiavonia il primo paziente con diagnosi accertata di Covid. Era un anziano di Vo’, che di lì a poco sarebbe diventato la prima vittima italiana della pandemia».
Da allora niente sarà più come prima: «Durante la notte e nei giorni successivi, le ambulanze si susseguirono fino a riempire in poco tempo tutti i posti letto del reparto. Quello che, fino a prima, vedevamo solo nei notiziari, aveva preso forma anche da noi».
Non sono mancati i momenti di sconforto: «All’inizio nessuno sapeva quale fosse il migliore approccio terapeutico, gli stessi organi internazionali diramavano indicazioni in continuo cambiamento. Senza considerare l’impossibilità per i familiari, quasi sempre in isolamento domiciliare, di poter assistere o per lo meno vedere i propri cari. Una situazione di impotenza davanti a una cosa che nessuno immaginava potesse succedere».
Poi, ecco le prime dimissioni di persone guarite: «Persone che arrivavano gravi in terapia intensiva e che ne uscivano migliorate, fino a riabbracciare i propri cari». Quindi, l’ottimismo della scorsa estate, «quando quasi tutti i reparti covid sono stati chiusi». E il brusco «risveglio autunnale con l’inizio di una nuova fase epidemica. Dobbiamo imparare, ma forse bastava guardare la Storia (la peste a Venezia nel 1630, la spagnola del 1915): le epidemie e le pandemie sono sempre esistite e ciclicamente si ripresentano».