Terzo appuntamento con i “Pensieri in quota” di Antonio G. Bortoluzzi. Scrittore, premio Gambrinus-Mazzotti della montagna, finalista Premio Calvino, i suoi articoli sono pubblicati sulle pagine culturali dei quotidiani veneti e su riviste nazionali. L’ultimo romanzo è “Come si fanno le cose” (Marsilio)
Lo si dice ed è vero, quando muoiono le persone anziane scompare un pezzo di memoria, svapora il passato che perde la pregnanza fisica della voce, dello sguardo, dello stare davanti a noi di chi è stato testimone di un’epoca.
Rimangono le foto, le storie, gli oggetti, forse i libri, i film, le canzoni, ma sappiamo che non è la stessa cosa. Questa pandemia ha tagliato molti ponti alle nostre spalle, molti fili che a seguirli ci portavano a essere sempre negli occhi di qualcuno, nelle loro aspettative, desideri, sogni. E allora penso che la memoria non è mai fatta da qualcuno e per tutti gli altri in una specie di grande edificio trasparente, multistrato pieno di effetti speciali. La memoria individuale è avvinghiata a certe odorose atmosfere di cucina, alcune stanze da letto, certi servizi igienici. Anche cose che non si dicono, che non si possono dire. E la memoria non muore mai, perché non muore quell’umana predisposizione a fare della vita che accade una storia da raccontare. E se togliamo per un momento la vanità, la retorica, l’egocentrismo di ognuno e pensiamo che tutti e tutte abbiamo l’arma segreta della narrazione, beh, abbiamo un compito: raccontare ciò che sentiamo, ciò che abbiamo visto, quanto è accaduto in questo anno difficile. Non è necessario che questa storia diventi un best seller o una serie tivù, è importante che ci sia, che il ri-cor-dare, sia appunto ciò che significa: riportare-nel-cuore. E quindi far vivere di nuovo.