Tornano i “Pensieri in quota” di Antonio G. Bortoluzzi. Scrittore, premio Gambrinus-Mazzotti della montagna, finalista Premio Calvino, i suoi articoli sono pubblicati sulle pagine culturali dei quotidiani veneti e su riviste nazionali. L’ultimo romanzo è “Come si fanno le cose” (Marsilio)
Ho pensato una cosa che riguarda i nostri figli più grandi, le nostre figlie che sono diventate donne nel corso di un intero anno trascorso all’insegna delle restrizioni da Covid-19: ho pensato alle loro prime volte negate. Può essere la festa dei 18 anni, la gita scolastica da maggiorenni, la maturità, la laurea. Sono esperienze fondative, riti di passaggio che sono importanti, lo sono sempre stati, anche nelle comunità primitive: il tentativo di elaborare collettivamente la vita individuale che cambia e forse fugge da ogni parte.
Bene, questo 2020, questo inizio di 2021 ci danno l’idea che i nostri ragazzi e ragazze abbiano perso qualcosa, dei momenti irripetibili. E c’è un sentimento di pena, qualcosa che non confessiamo volentieri. Facciamo un passo indietro: negli ultimi anni li abbiamo chiamati: i bamboccioni, gli sdraiati, i nativi digitali, e li abbiamo voluti raccontare diversi da noi, che siamo stati non già neolitici, o dell’età del ferro, ma analogici, un po’ politicizzati, libertari e chissà che altro. La notizia è questa: la generazione che si affaccia alla maggiore età, o l’ha appena passata, ha provato sulla propria pelle qualcosa di cui noi, che li dovevamo preparare alla vita, non sapevamo nulla. Dico noi genitori, noi politica, noi istituzioni, noi comunità. E allora saranno forse come i ragazzi del ’99? i combattenti del ’43? Le ragazze del ’68? Difficile dirlo, di sicuro quando passeranno gli anni e i decenni e diventeranno vecchi, avranno qualcosa di importante e fondativo da raccontare ai propri figli e nipoti.
