Il prof di ginnastica e la poesia dialettale: «I giovani manifestano disagio»

Il prof di ginnastica e la poesia dialettale: «I giovani manifestano disagio»

Prof, com’èla? Fone chè?

La palestra l’è serada… 

Boni, boce! Volèo chè…: 

fòn na bela caminada.

Mi no pòss, ho ‘l mal de panza,

ho ‘l cagot, ho l’allergia,

po’ me vien l’intolleranza

a star fora: ciòte via !…

P’an giret a piè vesin,

me impienìsse le scarsèle:

Oki, Valium, Ventolin,

ciòe su ‘n zaino de zirele.

Ma co’ piove no se pol,

i se ciapa al rafredor,

se ‘na gioza bagna al còl,

spasemadi ‘i va in fracor.

Fora no, palestra guai,

toca sprèmerse ‘l zervel:

a risolver tuti i mài

resta internet : che bel!…

Mete an film che ‘i stràvie via,

su la vita de Pelè …

ma wi fi no ‘l ciapa mia,

e anca là reston a piè…

Tache an disco, pàr che ‘l vàe,

i se varda al divudì,

par ‘n oreta ‘i se distrae…

e me salve par an dì!…

Par far mòver sti bociasse,

divertìrse sul dogar,

speron presto che fenìsse

sto burian che fa danar.

Na partida de balon,

anca a mi col mal de panza,

la me resta sul gropon…

in didattica a distanza.

Professor Sandro Neri, chi dobbiamo ringraziare per questa sua vena poetica? 

«Sicuramente papà Ugo Neri, poeta dialettale mancato nel 1993. Mi restano nel cuore molte sue poesie, scherzose ma non ridanciane, ironiche e mai polemiche, in una parola, “leggere”. E così, ispirandomi a questa sua capacità di rendere con un sorriso anche realtà non proprio lievi, ho cercato di tratteggiare la situazione attuale di un insegnante di educazione fisica nella scuola media in un periodo di pandemia. Perché i ragazzi, in presenza o a distanza, a loro modo lo manifestano il disagio eccome». 

Come lo manifestano? 

«Sono i loro atteggiamenti a parlare. L’ambiente sportivo meno strutturato dell’aula e apparentemente più libero favorisce quella spontaneità tipica dei preadolescenti e adolescenti alla quale spesso e purtroppo non si dà alcun peso. Questo però già da prima del Covid: scarpe slacciate causa di inciampo persino nei corridoi, felpe di cotone o maniche corte a gennaio, cappucci ben calcati in testa in aula, che ora con la mascherina li rendono più di sempre irriconoscibili. Ma a parte il vestiario è l’atteggiamento di sfida che dimostra il loro comprensibile disagio». 

Cosa suggerisce per recuperare questo drammatico momento? 

«Finita l’emergenza, dovremo riavvicinare questi giovani alla realtà, condizione imprescindibile per uno sviluppo psicofisico equilibrato; il recupero del contatto fisico fra loro, di quella corporeità naturale che è parte fondamentale del genere umano, del rapporto col territorio e con l’ambiente che li circonda. Si dovranno riprendere le camminate, le corse nei boschi, le partite dei giochi sportivi. Oltre 40 anni fa, il grande alpinista Riccardo Bee, insegnante all’Iti di Belluno, accompagnava gli allievi sotto la Gusèla del Vescovà, e cuoceva con loro la polenta. Se lo facessimo oggi finiremmo a Baldenìch, in carcere. Insomma, anche alla vecchia “ginnastica”  basterebbe un graduale ritorno alla stabilità e alla normalità per poter contribuire a una scuola formativa, e non fermarci alla sola assistenza».

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