La pandemia ha messo in crisi diversi settori. Non ultimo quello della cultura. Anche se si scorge la luce in fondo al tunnel: «Vorrei che l’Italia fosse il primo Paese a riaprire i cinema e i teatri», ha dichiarato il ministro competente in materia, Dario Franceschini. Così dovrebbe essere, in effetti. Stando alla bozza del prossimo Dpcm, la data della ripartenza è quella del 27 marzo: ma solo per le regioni in zona gialla.
E chi un cinema lo gestisce, come Manuele Sangalli, può quindi affacciarsi al domani con un pizzico di fiducia in più: «Finalmente – argomenta il gestore del Cinema Italia di Belluno – se guardo il bicchiere, inizio a vedere la metà piena».
Dopo il primo lockdown, lo stop del 24 ottobre scorso si è rivelato una mazzata: «È stato scioccante. Premetto che non sono uno scienziato, ma il cinema è un posto sicuro. Non lo dico io, è un dato di fatto. Perché è un luogo che viene sempre pulito e sanificato. E in cui è possibile verificare il rispetto delle regole, dal distanziamento alle mascherine. Tanto è vero che, in sala, nessuno si è mai contagiato».
Sangalli fatica a trovare una logica: «In termini di spazi, i cinema non sono poi tanto diversi dalle chiese, che continuano a rimanere aperte con le stesse regole che potremmo adottare pure noi». I ristori sono arrivati («se siano abbastanza o pochi, non spetta a me dirlo»), ma il comparto è inevitabilmente in difficoltà: «Non esiste solo la filiera del turismo, pensiamo ai titoli di coda di un lungometraggio. E a quante persone ci siano dietro a una produzione cinematografica. Ora quelle persone sono senza lavoro».
La sensazione è che al pubblico manchi parecchio il grande schermo: «Per quanto mi riguarda – conclude il gestore dell’Italia – non riesco più a seguire un film in televisione, su un tablet o dallo schermo di uno smartphone. Nel rispetto del distanziamento, avrei voglia di vivere un’esperienza diversa. Quell’esperienza che solo il cinema è in grado di offrire».