Don Ciotti: «La maestra mi chiamò “montanaro”, le lanciai il calamaio»

Don Ciotti: «La maestra mi chiamò “montanaro”, le lanciai il calamaio»

È nato a Pieve di Cadore. Anche se, con la famiglia, si è trasferito a Torino già da bimbo.

Ma le Dolomiti gli sono rimaste dentro. Al punto da sentire il bisogno di averle vicino perfino quando riposa, in camera sua, dove campeggiano una serie di foto che ritraggono le vette. 

Essere uomo di montagna, per lui, è un orgoglio. E se il termine “montanaro” viene usato in tono dispregiativo, allora perde le staffe. È così ora. Ed era così pure un tempo, quando andava alle elementari. 

Stiamo parlando di don Luigi Ciotti, il sacerdote che si batte contro la droga (ha fondato il Gruppo Abele, una Onlus finalizzata ad aiutare chi ha problemi di tossicodipendenza) e le mafie (attraverso l’associazione Libera). In una bellissima intervista concessa al Corriere della Sera, don Luigi ha ricordato un episodio curioso: «A scuola, una maestra mi rimproverò ingiustamente chiamandomi “montanaro”. Cieco di rabbia, presi il calamaio e glielo scagliai addosso. Questo per dire che mi portavo dentro il bisogno di arrabbiarmi di fronte alle ingiustizie». 

Non manca un passaggio sulla vita da bambino, fra le Dolomiti: «Ricordo il mulino di mio nonno – si legge sempre nell’intervista, concessa a Roberta Scorranese -. Ha funzionato fino al 1949. Poi la ditta incaricata di costruire la diga del lago di Cadore lo espropriò per poche lire. Venne sommerso dalle acque, ma quei soldi servivano a chi non poteva mangiare. Avevo quattro anni». Ora ne ha 75. Ed è fiero della sua terra d’origine. Da vero montanaro.  

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