Lo spopolamento della montagna non è uguale per tutti. Perché c’è una popolazione che aumenta a vista d’occhio. Più 10% in un anno, addirittura più 1.017% negli ultimi trent’anni.
È la popolazione dei cervi. Ma tutti gli ungulati stanno crescendo. Tanto che cervi, caprioli, mufloni e camosci fanno più o meno gli stessi abitanti del Comune di Belluno. Se ci si sommano anche i cinghiali, per i quali al momento non esiste conteggio, si possono raggiungere i 50mila capi. Alla faccia della crisi demografica.
I numeri arrivano dal servizio gestione faunistica della Provincia di Belluno. E al di là di una visione disneyana della natura, costituiscono una base di partenza su cui ragionare. Perché va da sé: quando i numeri diventano troppi, c’è un problema di gestione. Ne sanno qualcosa gli automobilisti che ogni anno investono un cervo o un capriolo. Ne sanno qualcosa gli agricoltori della Valbelluna, che si vedono distruggere i campi dalle arature dei cinghiali.
I NUMERI
Eloquente il dato del cervo. Di fatto, non ce n’erano trent’anni fa. O meglio, erano limitati ad alcune parti alte della provincia. Le stime degli uffici provinciali del 1990 parlavano di 931 capi. Dieci anni dopo, anno 2000, la situazione cominciava a virare: 2.957 capi stimati sul territorio provinciale, senza contare la zona del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Il problema comincia a scoppiare di lì a poco. Nel 2010 le stime sono già a quota 7.642, mentre nel 2019 il censimento è arrivato a 10.400.
È cresciuta anche la popolazione di caprioli: contava poco più di 9mila capi nel 1990, è arrivata fino a sfiorare i 16.500 nei primi anni Duemila, mentre l’ultima stima (2019) dice 13.600. Stesso discorso anche per i mufloni, che non superavano le 350 unità nel 1990 e adesso sfiorano i 2.500 capi. La popolazione di camosci era stimata in 4.500 unità negli anni Novanta, oggi viaggia oltre quota 7.200.
CALENDARIO VENATORIO
È anche in virtù di questi numeri che la Provincia ha messo insieme, seduti al “Tavolo verde”, agricoltori e mondo venatorio. Perché le attività agricole da anni lamentano danni consistenti. Dai cinghiali, che arano le colture e obbligano a semine ripetute o a perdite complete del raccolto. Fino ai cervi, sempre più stabili nei fondovalle.
Anche quest’anno però il calendario venatorio consentirà la sperimentazione di un avvio anticipato (subito dopo Ferragosto) e agirà con l’aumento del 20% nei prelievi, come approvato da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
«La densità eccessivamente elevata di ungulati costituisce un forte danno per le colture e anche per l’intero ecosistema – commenta il consigliere provinciale delegato alla gestione faunistica, Franco De Bon -. Nel 2019 sono stati prelevati 2.673 cervi, parimenti divisi tra maschi, femmine e piccoli. Un numero che sfiora il 91% dei capi consentiti dal piano di abbattimento. Per il 2020, con il nuovo incremento autorizzato da Ispra, il totale autorizzato arriva a 3.234 capi. Un numero funzionale a una gestione scientificamente corretta della popolazione di ungulati».