Le grandi guerre hanno interessato anche una provincia, la nostra, che ha pagato un conto molto alto in termini di vite umane.
A causa della sua conformità, il territorio è stato pure avamposto militare: le trincee, ancora oggi visibili, erano teatro di scontri cruenti, specialmente nella Prima guerra mondiale.
È lontano ormai quel tempo: cent’anni. E se i nostri soldati hanno scritto una pezzo di grande storia, va aggiunto che anche le loro compagne lo hanno fatto.
Spesso rimaste sole a casa a portare avanti la famiglia. Spesso vedove. Spesso attive in campo come le “portatrici” bellunesi: chi erano? E soprattutto cosa facevano?
Erano donne coraggiose che, con la gerla in spalla, attraversavano pendii impervi e pericolosi, per portare viveri e munizioni ai soldati al fronte o in trincea.
Partivano con un carico di 30, 40 kg, incuranti del pericolo e con l’unico obiettivo di aiutare mariti, fratelli, padri.
Spesso giovanissime, a 12 anni, avevano già la loro gerla. Molte sono quelle che persero la vita a causa del fuoco nemico.
Non solo al fronte, ma anche nella famosa linea gialla più lontana, le portatrici erano impegnate a trasportare sassi, assi di legno, sabbia. Materiale che serviva alla costruzione di forti o strade militari: le stesse che oggi percorriamo durante le escursioni in montagna.
E magari, calpestando ora quei sentieri, possiamo riflettere su quanto sudore, quanta fatica, quanto amore e quanto dolore si nascondano sotto i nostri passi.
Donne coraggiose: senza vestiti tecnici, affrontavano il freddo, la neve, la pioggia avendo ai piedi gli “scarpet” e indosso abiti presi dall’armadio del coniuge.
Comelico, Cadore, Agordino: le “portatrici” sono patrimonio di tutti.