“Trappola mortale” e rappresaglia: 76 anni fa l’eccidio del Bosco delle Castagne

“Trappola mortale” e rappresaglia: 76 anni fa l’eccidio del Bosco delle Castagne

Un messaggio dal carcere: «Mandatemi del veleno. Non resistono più». Lo scrive Mario Pasi, medico di Ravenna e partigiano in Valbelluna, spinto nella valle del Piave dalla guerra di resistenza che ha raccolto centinaia di giovani all’indomani dell’8 settembre 1943. 

È l’inizio di marzo del 1945. Pasi, detto “Montagna” si trova in carcere a Belluno, prigioniero dei nazisti. Ha 32 anni, ma per le torture subite dai carcerieri è messo male: una gamba in cancrena, dolori e sofferenze. Tanto da far uscire un biglietto all’esterno: «Mandatemi del veleno». Il veleno però non arriverà mai. Perché in quei giorni di marzo succede qualcosa di terribile a Belluno.

Il 6 marzo i partigiani bellunesi preparano una trappola mortale. La confezionano al poligono di tiro, alla periferia della città. E la mascherano dietro alla satira, consapevoli che i nazisti mal sopportano le note ironiche. 

Il giorno dopo, quando i tedeschi arrivano, vanno su tutte le furie. Vedono che al centro dei bersagli è stata collocata un’immagine di Hitler. E accanto una scritta a caratteri cubitali: “zigklt gut”, mirare bene. I soldati si precipitano a eliminare il messaggio satirico, ma il terreno è minato e l’esplosione fa fuori quattro militari del Terzo Reich (altri quattro muoiono in seguito alle ferite).

La reazione è veemente: il maggiore Schroeder che comanda il battaglione di altoatesini di stanza nella zona chiede 50 partigiani da impiccare per rappresaglia; il tenente Karl (comandante della gendarmeria tedesca) gliene concede dieci. È l’inizio dell’eccidio del Bosco delle Castagne (zona nord di Belluno, tra Mussoi e Vezzano), 10 marzo 1945.

I dieci scelti vengono prelevati dal carcere e portati a marcia forzata fino al bosco. C’è anche Pasi, detto “Montagna”. Con la gamba in cancrena non è in grado di camminare, ma in qualche modo arriva al patibolo. Con lui ci sono altri nove compagni di sventura: Giuseppe Santomaso detto “Franco”, 25 anni di Belluno; Francesco Bortot detto “Carnera”, 24 anni di Belluno; Marcello Boni detto “Nino”, 24 anni di Perarolo, maestro elementare; il “Portos”, vale a dire Pietro Bertanza, 20 anni ancora da compiere, di Brescia; Giuseppe Como detto “Penna”, imberbe 20enne di Trichiana; Ruggero Fiabane il “Rampa”, 28 anni di Valmorel; Guido Candeago “Fiore”, operaio 24enne di Sedico; Giovanni Cibien “Mino”, 20 anni, di Trichiana; e Ioseph, soldato francese sconosciuto. Vengono tutti impiccati e lasciati appesi.

Finisce qui? No. Perché rientrati in caserma, i nazisti si accorgono di aver commesso un errore. Dovevano giustiziare Giuseppe Cibien, ma nel Bosco delle Castagne hanno impiccato Giovanni Cibien. Omonimia. Prelevano dal carcere Giuseppe e lo fucilano nel cortile della caserma D’Angelo. I martiri di quel 10 marzo ’45 salgono a undici.

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