Selvaggia Lucarelli e le parole di una bellunese: «Grazie»

Selvaggia Lucarelli e le parole di una bellunese: «Grazie»

 

«Raramente ho letto un cosa così bella. Grazie». Lo scrive Selvaggia Lucarelli a una bellunese, Alessandra. La quale ha inviato alla nota giornalista e blogger una lettera che ha colpito nel segno. Tanto che la stessa Lucarelli ha deciso di pubblicarla e divulgarla attraverso i suoi seguitissimi profili social. 

 

Cara Selvaggia,

ti chiedo scusa a nome di tutti noi che viviamo in montagna. Per anni l’espressione montanaro richiamava l’immagine di persone rozze, chiuse, cupe. Oggi invece va di moda l’espressione del buon montanaro. Grazie anche a migrazioni di intellettuali in fuga dalla città la montagna diventa una mamma premurosa in grado di curare gli affanni della vita inquinata di città. 

Non è così. 

Vivere in montagna è difficile e probabilmente nemmeno così piacevole. Altrimenti non si spiegherebbe il fenomeno dello spopolamento che, ogni anno, fa spegnere le luci di un piccolo paese alpino. In montagna mancano reti adeguate di collegamento, in montagna anche pochi km possono trasformarsi in ostacolo per raggiungere i servizi essenziali, in montagna nascere è difficile e non privo di rischi. In montagna ci sono le frane che isolano i Paesi, ci sono alberi schiantati, ci sono nevicate che spengono l’elettricità anche per giorni interi. 

In montagna mancano le infrastrutture immateriali e perfino le emittenti televisive.  In montagna ci sono i grandi colossi dell’occhialeria che, da una parte, offrono un futuro industriale a migliaia di persone (ad Agordo ci sono più operai che residenti) ma, dall’altra, costruiscono un sistema di welfare privato e di monoproduzione che, se dovesse entrare in crisi, creerebbe dei danni irrimediabili al sistema economico locale. 

Noi “montanari” non facciamo trekking od escursioni. Noi andiamo in montagna perché da sempre è così. Perché ci andavano i nostri genitori coi pantaloni in velluto e perché la domenica si cammina, zaino in spalla e via. Non prendiamo il tempo, non facciamo il selfie, la montagna è qualcosa di naturale, di intimo, per se stessi. In inverno la minoranza di noi scia. Lo sci alpino era e rimane uno sport da ricchi, da privilegiati. 

La maggior parte di noi ha imparato a sciare grazie a sciclub paesani e ai volontari che scarrozzavano i bambini. Abbiamo fatto sci da fondo, meno costoso e alla portata di tutti, abbiamo indossato le ciaspe. I più appassionati hanno imparato a riconoscere i sospiri della montagna indossando le pelli di foca. Ma no, le domeniche nei grandi comprensori sciistici non ci rappresentano e il carosello degli impianti non ci appassiona. Le domeniche invernali hanno piuttosto l’immagine di code km che si snodano lungo i nostri paesini di montagna, paradossalmente costretti così all’isolamento. 

Ovviamente sappiamo che la nostra sopravvivenza è legata anche e soprattutto al turismo ma dovremmo perdere il vizio di invidiare i nostri cugini oltrepasso, quelli delle Regioni a Statuto Speciale, e cominciare a progettare un modello di turismo nuovo. 

Cara Selvaggia, ti chiedo scusa da donna. La montagna è per tutti e non fa distinzione di genere. Il sessismo non entra nello zaino, nelle cordate, nella passione. Il fiato si fa corto e conta la voglia, l’entusiasmo. 

Il mondo alpinistico rappresenta eroi maschili, ma spesso in cordata, a fare sicura, c’erano donne, amiche, compagne, appassionate ed eroiche pioniere del sesto grado.

Cara Selvaggia, ti chiedo scusa da mamma. Quest’anno i miei bambini probabilmente non scieranno. Da privilegiati potranno indossare le ciaspe, cavalcare le slitte e sarà, probabilmente, ancora più divertente ed eroico. Lo faranno volentieri, per poter continuare ad abbracciare, domani, la loro preziosa nonna.

Cara Selvaggia, ti chiedo scusa a nome degli operatori del settore. Per lavoro incrocio il settore e ti posso tranquillizzare che la grande maggioranza ha ben chiara la situazione. È opportuno lo stanziamento di seri ristori piuttosto che un’apertura scellerata che porterebbe costi enormi, cui non corrisponderebbero certo entrate sufficienti. Costi per innevamento (si, sta nevicando ma non basta), costi per l’avvio degli impianti, costi per il personale.. e poi? Poi una successiva chiusura potrebbe essere fatale, così come l’incendiarsi di focolai nelle vallate in cui gli ospedali rischiano il collasso. 

Cara Selvaggia, ti chiedo scusa a nome della montagna che ho visto arrossire ed incendiarsi. E non era per l’effetto della Dolomia. 

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