Remigio Stiletto e i 33 giovani di Tambre deportati: il ricordo della scuola secondaria

Remigio Stiletto e i 33 giovani di Tambre deportati: il ricordo della scuola secondaria

Il calendario è arricchito da diverse date in rosso che identificano festività religiose o nazionali. Tuttavia ci sono giorni che, pur non essendo evidenziati, segnano eventi nella storia di un paese o di una comunità che non possono essere dimenticati. 

Oggi, 27 gennaio ricorrenza internazionale delle vittime dell’Olocausto, è un giorno di questi. Un momento della storia che ha steso un velo nero sull’umanità civilizzata. Il silenzio dei morti e quello dei complici diretti e indiretti, il silenzio degli increduli davanti a tanta crudeltà. Il silenzio di chi, sopravvivendo, non poteva ritornare alla vita normale se non cercando di dimenticare e rimuovere. Una forma di difesa personale lecita e comprensibile. Tuttavia, dobbiamo ancora ringraziare chi ha avuto il coraggio di rompere il silenzio e raccontare. Perché grazie a loro, oggi noi e domani i nostri posteri, potranno conoscere. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” – sottolineava Primo Levi sopravvissuto a questa inumana tragedia. Non è esagerato usare la parola inumana, perché è impensabile che un uomo agisca consapevolmente pianificando nel tempo la morte di milioni di altri suoi consimili. Tuttavia la storia ci dimostra che è accaduto. Se conoscere è necessario, chiedersi come si sia arrivati a tali atrocità lo è altrettanto se vogliamo agire per il bene ed evitare che esperienze di questo tipo si ripetano. Fu la zona grigia dell’indifferenza, come sottolinea anche Liliana Segre, a permettere che avvenisse quanto noto.

L’Olocausto non è a noi lontano, né nel tempo né nello spazio. Recandoci nei nostri cimiteri può capitare di leggere nelle lapidi Mauthausen, Auschwitz-Birkenau”, Flossenbürg e altri. Questo significa che passò anche per i nostri paesi, significa che tra i nostri bisnonni, zii, parenti qualcuno potrebbe essere stato anche una vittima dell’Olocausto. E se d’istinto ci verrebbe da dire: “Ma io non ho parenti ebrei” ricordiamoci invece che non fu un fenomeno che riguardò solamente loro, ma tutte le categorie di persone ritenute indesiderabili o inferiori. Tra i campi di concentramento citati, Flossenburg fu alloggio per qualche mese di Remigio Stiletto, deportato l’11 gennaio del 1945 assieme ad altri 33 giovani di Tambre. Ebbe la fortuna di ritornare con altri 2 compagni, il resto del gruppo ebbe un destino diverso. Molteplici sono i paesi che ricordano giovani, donne e bambini strappati dalle loro case per un motivo o per un altro. 

Cosa rimane oggi di quei giovani e di tutte le vittime? Cosa rimane di quegli uomini che combatterono per la vita, per la loro dignità, per le loro origini, per i loro pensieri, per la libertà? Nulla se non ci impegniamo a mantenere vivo almeno il loro ricordo. Dei loro volti non abbiamo quasi traccia e per conoscere i loro nomi dobbiamo ricorrere agli archivi, all’anagrafe, ai monumenti o a qualche vecchio articolo. 

A poco a poco scompare la memoria storica, non si può più parlare con chi ha vissuto quei momenti e ci si deve affidare alla lettura di chi ha avuto il coraggio di rompere il silenzio e scrivere o raccontare la propria esperienza se ha avuto la grazia di fare ritorno. 

Allora, se non i volti, se non le loro parole mancate, che cosa affidiamo alle prossime generazioni? Il ricordo attraverso il racconto e attraverso le commemorazioni. Così in ciascun paese in date a volte comuni, a volte diverse si celebra una messa, ci si reca ai monumenti e si ricordano le vittime con parole di cordoglio. È in questi momenti che i giovani incontrano la storia e formano il loro senso civico. A Tambre, i ragazzi della scuola secondaria hanno partecipato alla commemorazione delle vittime dell’11 gennaio del ‘45 con un cartellone e con una riflessione. Nel cartellone i colori della bandiera italiana: “Verde dei prati, bianco della neve, rosso del sangue… E poi i fiori per ricordare le terre dove quei 33 giovani come tanti altri lottarono, il più delle volte perdendo la vita, e per ricordare la loro età: erano infatti quasi tutti ventenni, sul fiore della loro giovinezza!” 33 fiori, ognuno con il nome e l’anno di nascita di ciascuno di quei ragazzi. Ed è commovente quando qualcuno proprio tra quei nomi riconosce il proprio cognome e a volte anche un parente di cui in casa si è parlato, o addirittura del quale si conserva l’ultima lettera spedita proprio da uno di quei campi. 

Oggi 27 gennaio, a 77 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe dell’Armata Rossa, si ricordano tutte le persone che persero la vita nei campi di sterminio perché discriminate. Tuttavia ad esse è doveroso aggiungere il ricordo delle vittime di quella e di ogni guerra che oscura le menti trasformando gli amici in nemici, gli uomini in carnefici. 

Ogni giorno è il 27 gennaio, perché è compito di ciascuno di noi mantenere viva l’empatia allontanando qualsiasi tipo di giudizio se non vogliamo uccidere nuovamente e per sempre chi ha già dato la vita per noi. È compito di ciascuno di noi conoscere e ricordare se non vogliamo girare, citando Levi, quella “pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della Memoria”.

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