Morì colpito dal cavo della teleferica, condannato il datore di lavoro

Morì colpito dal cavo della teleferica, condannato il datore di lavoro

La Corte d’Appello di Trento ha confermato la condanna a 4 anni e 5 mesi di reclusione emessa, in primo grado, dal Tribunale di Trento nei confronti di Riccardo Sorarù, 45enne residente nel Bellunese, unico imputato nel caso giudiziario riguardante la tragica morte di Vitali Mardari, ventottenne di origine moldava, avvenuta il 19 novembre 2018.

La sorella della vittima, assistita da Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di infortuni sul lavoro mortali, si è lasciata andare a un pianto liberatorio, al termine di un lungo processo nel quale, purtroppo, ha dovuto rivivere svariate volte il dolore di quel tragico giorno.

LA VICENDA

Erano trascorse poche settimane dal disastro di Vaia quando Vitali Mardari, tramite comuni conoscenti, si accordò con Sorarù. per aiutarlo in alcuni lavoretti nei boschi di Val delle Moneghe, nel territorio comunale di Sagron Mis. Senza un regolare contratto, con loro erano presenti altri due lavoratori, tutti “in nero”. Il gruppo dei quattro si mise prontamente al lavoro, apprestandosi a tirare un lungo cavo d’acciaio che avrebbe dovuto fungere da teleferica per il trasporto del legname.

«All’improvviso, a causa di un errato calcolo delle forze necessarie per l’attività e a causa dell’utilizzo di un mezzo non idoneo (un escavatore, ndr) per tendere la corda metallica – spiegano i tecnici di Giesse Risarcimento Danni – la stessa si spezzò, colpendo violentemente Mardari che finì catapultato a una ventina di metri di distanza».

R.S. invece di prestare immediato soccorso all’infortunato, con l’aiuto degli altri due uomini trasportò il corpo di Mardari vicino al ciglio della strada, coprendolo anche con dei pezzi di legna, e solo successivamente avvisò i soccorsi affermando di aver ritrovato il ferito per caso mentre si trovava nei pressi del suo cantiere (gli altri due lavoratori, nel frattempo, si erano prontamente allontanati).

Immediati ma vani i soccorsi, con i medici che però subito ipotizzarono un’incongruenza tra le ferite riportate e il luogo del ritrovamento.

Le indagini delle forze dell’ordine e del pubblico ministero Giovanni Benelli, unitamente alle testimonianze dei presenti e dei parenti su quanto successo prima, durante e dopo l’incidente, hanno consentito di fare piena luce sulla dinamica dei fatti.

IL TRIBUNALE

«È emerso che i tre lavoratori che con R.S. si trovavano nei boschi di Val delle Moneghe erano tutti senza regolare contratto, privi di formazione specifica e di dispositivi di protezione individuale – sottolineano da Giesse Risarcimento Danni –. Non erano quindi impiegabili in lavori ad alto rischio come quelli boschivi, essendo esposti al gravissimo pericolo nei fatti poi verificatosi».

Da qui la decisione del giudice del Tribunale di Trento che, proprio a fronte dell’agghiacciante ricostruzione di quanto accaduto, non aveva concesso all’imputato neppure un’attenuante. R.S. era stato altresì dichiarato interdetto dai pubblici uffici per 5 anni e condannato a una provvisionale, immediatamente esecutiva, di 110.000 euro, oltre alle spese di costituzione ad assistenza liquidate in euro 8.000 più accessori. 

Sentenza confermata in pieno ieri dalla Corte d’Appello di Trento, dove i legali del datore di lavoro avevano presentato appello.

«A questo punto per il datore di lavoro del povero Vitali si dovrebbero spalancare le porte del carcere – commentano Claudio Dal Borgo e Alain Menel di Giesse Belluno –. Siamo infatti convinti che, se anche la difesa dovesse tentare un ricorso in Cassazione, non cambieranno le sorti giudiziarie nei confronti di quest’uomo; i primi due gradi di giudizio sono stati estremamente chiari in tal senso: chi ha barbaramente nascosto Vitali come un sacco di immondizia pagherà presto con la reclusione».

LA FAMIGLIA DI MARDARI

«Giustizia è stata fatta – commenta emozionata anche la sorella di Vitali, Ludmila –. Un simile comportamento doveva portare proprio a questo, era ciò che auspicavamo e per questo non possiamo che ringraziare i giudici che, per due volte, si sono espressi in tal senso. Nessuno ci riporterà mai Vitali, che manca nelle nostre vite ogni singolo minuto di qualsiasi giornata, ma perlomeno sapere che chi lo ha trattato in quel modo ora pagherà, con tutta probabilità, con il carcere, ci dà un doveroso senso di giustizia».

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