Marmolada, il ghiacciaio sta morendo. Tra trent’anni sarà sparito

Marmolada, il ghiacciaio sta morendo. Tra trent’anni sarà sparito

Il malato è grave. Probabilmente irrecuperabile. Il destino del ghiacciaio della Marmolada è scritto: tra trent’anni al massimo non ci sarà più. A sancire il de profundis dei ghiacci perenni sulla cima più alta delle Dolomiti è il monitoraggio di Legambiente nella quarta tappa della Carovana dei ghiacciai, i cui risultati sono stati presentati ieri mattina a Malga Ciapela.

I numeri, nella loro crudezza, sono impietosi. Dal 1905 al 2010 (in poco più di un secolo, quindi) il volume dei ghiacci si è ridotto di oltre l’85% e lo spessore del fronte bianco è passato da 50 a pochi metri. Una tendenza accelerata vertiginosamente nell’ultimo decennio. Se fino al 2000 la previsione era dell’esaurimento del ghiacciaio nell’arco di un secolo, ora i dati (raccolti tramite analisi di dati di cartografia storica e studi geofisici, attraverso il confronto di carte topografiche antiche e nuovi rilievi georadar) anticipano lo scioglimento definitivo dei ghiacci. Dovremo dire addio al ghiacciaio della Marmolada tra 20, massimo 30 anni.

«I teloni posizionati in abbondanza sul ghiacciaio, soprattutto in questo ultimo periodo, per una superficie che ammonta a circa 50mila metri quadrati allo scopo di conservare le piste da sci e non il ghiacciaio stesso, ripropongono il problema dell’uso delle risorse naturali a scopo turistico – spiegano Vanda Bonardo (responsabile Alpi Legambiente) e Luigi Lazzaro (presidente di Legambiente Veneto) -. Ora più che mai servirebbero scelte innovative di sviluppo locale che contemplino nuove visioni per un turismo più compatibile con gli eventi naturali e meno incentrato su forme di accanimento terapeutico come queste. Se quello della dichiarazione dell’emergenza climatica da parte del nostro parlamento e dall’Europa è un passo importante, allo stesso modo è indispensabile che la Regione Veneto faccia lo stesso e in tempi brevi avvii un piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Piano che altresì auspichiamo venga prodotto a livello nazionale poiché attualmente non ancora realizzato».

Nel corso delle osservazioni sono stati riscontrati gli effetti delle valanghe, dei crolli e delle colate detritiche rapide, risultato della recente denudazione dei versanti e dei fenomeni atmosferici estremi che hanno colpito la regione dolomitica. «Il ritiro del ghiaccio ha determinato la scomparsa della “città di ghiaccio” – ricorda Aldino Bondesan del Comitato Glaciologico Italiano – costruita dagli austroungarici durante la prima guerra mondiale all’interno del ghiacciaio. All’epoca era costantemente minacciata dalle spinte del ghiacciaio che allora si muoveva di diverse decine di metri l’anno, mentre oggi è fermo. La particolare natura di ghiacciaio di pendio fa poi sì che il corpo glaciale reagisca con estrema rapidità alle piccole mutazioni climatiche, tanto da essere utilizzato come termometro naturale, anche rispetto alle più piccole variazioni di temperatura e precipitazioni».

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