Leggende e tradizioni natalizie. Anche a tavola: «Non si butta via niente»

Leggende e tradizioni natalizie. Anche a tavola: «Non si butta via niente»

 

Il nostro viaggio tra leggende e tradizioni ci porta a tavola.

Ha radici contadine il rito di ammazzare il maiale per ricavarne “ogni ben di Dio”, così si diceva. Solitamente il maiale veniva allevato per tutto l’anno e poi abbattuto. In genere, nei nostri paesi, gli uomini si riunivano, si aiutavano e si vedevano in cortile. Quasi una festa che abbracciava pure i parenti: una festa nobile per i tempi.

Un sacrificio inevitabile, perché da esso dipendeva il sostentamento dell’intera famiglia. Il maiale era un bene prezioso e non si buttava via niente.

Durante la lavorazione si chiacchierava e cantava, con qualche pausa scandita da un bicchiere di “clinton” (vino rosso) in mano. Poi la sera, quando tutto era sul tavolo, si faceva festa con braciole e costicine, mentre “luganeghe”, salami e cotechini venivano messi a “maturare” nelle cantine. E alcune parti affumicate: le famose pendole.

Fino ai primi del Novecento, il maiale era cosa da ricchi e la carne” dei contadini più poveri erano i fagioli.

Avere il “maschio” era quindi un privilegio. E anche prendersi cura del suino era un rito: dai bambini ai nonni, perderlo significava un danno enorme. In tempi di miseria non si buttava via nemmeno il sangue. Sanguinaccio, interiora, orecchie e i piedi. Persino le setole venivano usate per fare i pennelli. Il lardo bastava alla famiglia per 12 mesi.

Ora questi prodotti sono diventati piatti gourmet e ricercati per riempire le nostre tavole.

Ad esempio la “trippa” è un piatto tipico del Bellunese e Veneto, che si cucina per Santa Lucia o comunque fino alla fine delle festività. Un tempo era fatta, per l’appunto, con le interiora del maiale, ora anche con il bovino.E pure il brodo della viglia deriva dalla tradizione contadina, nel rispetto del “no se buta via nient”.

Non possono poi mancare il cotechino e le lenticchie, sicuramente di buon auspicio.

Natale, inoltre, era tempo di vin brulè: vino caldo con cannella e chiodi di garofano, veniva bevuto una volta terminata la messa del 24. Una bevanda calda per scaldarsi e una scusa per scambiarsi gli auguri. Ancora oggi, nel Bellunese, il brulè caratterizza un momento conviviale all’aperto.

E in tasca? Non potevano mancare le kodinze: rondelle di mele essiccate. Mangiate come passatempo, davano un po’ di energia. Il Kodinzon era poi la conserva di mele con zucchero, messa a essiccare fino a quando non diventava gommosa. Veniva tagliata a barrette, inserita in sacchetti o barattoli di latta e regalata ai bambini per Natale. 

 

IN GIRO PER IL MONDO

In Islanda, la viglia è caratterizza dai troll: folletti birichini che fanno dispetti nelle case: regalano dolci ai bambini buoni e patate marce a quelli monelli.

In Russia, invece, il Natale ortodosso non cade il 25 dicembre. Ed è molto sentito, mentre la vigilia è sinonimo di digiuno: perché? Semplice, il pranzo successivo ha ben 12 portate,

E in Italia? In Sicilia c’è la famosa “Cubbata”: un torrone fatto in casa con mandorle, noccile e pistacchi. Zucchero e miele impreziosiscono il sapore di questo dolce antichissimo.

Alla prossima!

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