La pittrice del monte Faloria: un affresco di arte, amori e incantesimi

La pittrice del monte Faloria: un affresco di arte, amori e incantesimi

 

Nella piana sottostante al Monte Faloria, in tempi antichi, sorgeva il paese di Miljiera.
Narra la leggenda che chi lavorava nella malga più sperduta, lassù, riusciva a intravvedere una fanciulla: occhi grandi e capelli come la pece.
Era così timida che trovava spesso rifugio tra i boschi. Un giorno però si presentò alla malga e si offrì di sostituire la proprietaria, fino a quando non fosse tornata in salute.
Instancabile, non si tirò indietro nemmeno nei lavori più umili.
La misteriosa ragazza del Faloria era stimata da tutti: proprietari, avventori o alpinisti che da lì prendevano le alte vie.
La stagione giungeva alla fine e la giovane chiese a ogni malgaro una tavoletta di legno, dove dipinse dei ritratti. 
La notizia della bravura di questa artista si sparse nell’intera valle, tanto che le venne chiesto di affrescare la facciata del comune di Miljiera: in cambio, ottenne un prezioso fermaglio d’argento.
Poteva mancare l’amore in questa storia? 
No davvero. La fanciulla era contesa da due ragazzi del posto: Ghedin e Verloi, il più benestante e grande proprietario terreno. Proprio lui venne scelto: «Ti farò vivere come una regina». E Ghedin, cacciatore semplice ma innamorato, se ne andò lontano.
Ma presto la pittrice si accorse che Verloi scialacquava i denari e non aveva voglia di lavorare. Oltre ad avere le mani bucate, era anche bugiardo e sposò di nascosto una ricca ereditiera.
La promessa sposa del Faloria non solo ci rimase male, ma si affidò ingenuamente e nella disperazione alla strega Svalazza, una terribile maga che l’avrebbe trasformata in una creatura dall’animo orribile: solo una richiesta di matrimonio l’avrebbe salvata.
Passarono gli anni, Verloi diventò padre di un maschietto.
Ma la pittrice posseduta dal maleficio glielo fece portare via da un avvoltoio nero: su, verso il Sorapis, in un anfratto riconoscibile da una macchia rossa e illuminato dai raggi del sole nelle ore più tarde del pomeriggio.
A ogni nascita di un maschietto, nella valle, il rapace tornava e lo portava nel suo nido, arroccato tra le rocce.
Nel paese di Mijliera regnava la paura: nessuno aveva più visto la bella pittrice del Faloria. La quale non aveva ancora terminato l’affresco. Allora lo finì Ghedin, che tornò dopo anni. 
Si arrampicò sulle rocce a mani nude, sicuro che avrebbe trovato la sua amata.
Sulla Gravona, trovò un sacco di gabbie d’argento con tanti uccellini: di guardia c’era l’avvoltoio nero.
Arrivato a mani nude sul punto più alto della Gravona, Ghedin udì un canto: era la sua pittrice del Faloria. Sotto le spoglie di quel malefico rapace, c’era proprio lei.
Le chiese di sposarla e subito l’incantesimo svanì.
Le gabbie di filigrana si aprirono: gli uccellini volarono a valle e ripresero le sembianze di bambini.
Le piume caddero, gli artigli tornarono mani.
E i due si sposarono, mentre l’eredità di pittrice si trasferì, nel tempo, alle famiglie Ghedini. E Ghedina.

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