«La cura della montagna salva i territori a valle». Uncem scrive a Gian Antonio Stella

«La cura della montagna salva i territori a valle». Uncem scrive a Gian Antonio Stella

Stella scrive. Bussone risponde. Non è un romanzo epistolare, bensì il racconto della montagna. Quella che troppo spesso viene dimenticata, o peggio edulcorata come villaggio vacanza, da vivere pochi giorni all’anno, assolati perlopiù. Invece la montagna è la quotidianità di chi ci vive e la cura, evitando che le frane arrivino fino a valle. Di chi ci vive e la cura senza avere spesso le risorse e il minimo indispensabile (eccezion fatta per la montagna “dorata” di Trento e Bolzano).

Lo ricorda Marco Bussone, presidente Uncem (Unione nazionale Comuni ed enti montani) a Gian Antonio Stella. Il giornalista ha scritto sul Corriere della Sera qualche giorno fa in merito alla tragedia delle Marche. E ha rimarcato la necessità di intervenire sui dissesti idrogeologici. Già, ma con quali soldi? Con quale considerazione per la montagna? Se lo chiede anche Bussone, che contesta a Stella (e a tanti Soloni) di guardare il dito e non la luna, di aver demonizzato per anni gli sprechi della Pubblica amministrazione, senza aver mai preso nemmeno lontanamente in considerazione che i piccoli Comuni, le Province e le Unioni montane hanno sì un costo (peraltro inferiore a tanti ministeri o funzioni regionali) ma sono indispensabili per il buon funzionamento dei territori. E quindi, servono anche a prevenire disastri come quello di pochi giorni fa nelle Marche. 

«Caro Gian Antonio» scrive Bussone «dimentichi un po’ di aspetti nel pezzo scritto sul Corriere qualche giorno fa in merito alla tragedia delle Marche. Dimentichi che gli enti locali montani sono sempre stati “per la bonifica” e per progetti contro l’abbandono. 15 anni fa hai attaccato le 350 Comunità montane italiane dandole in pasto all’antipolitica, additandole a cuore della spesa pubblica italica. Non è certo responsabilità tua se queste istituzioni da 15 anni sono sempre più in crisi. Il punto è che non consideri, anche nel pezzo di qualche giorno fa, che solo con la presenza dell’uomo sui territori montani si preserva chi sta un basso. Solo con la gestione e la pianificazione forestale si evitano i “tappi” di legno in basso sotto i ponti. Solo con l’agricoltura e la zootecnia in quota si evitano dissesti. Solo con paesi ordinati e curati, non certo sotto campane di vetro per borghi turistici, si tengono in vita le comunità. Dovresti saperle queste cose, ma non le scrivi. Eppure, con quelle tue pubbliche denunce – 15 anni fa e forse anche dopo – senza contraddittorio, va detto e riconosciuto che hai alimentato un’antipolitica che oggi ha enormi responsabilità nelle non-scelte, anche per la cura e la manutenzione dei territori». 

«Cucire, certo. Lo diciamo. Prevenire, certo. Lo facciamo. Sostenere chi vive nelle fragilità. Lo facciamo. Provare a definire regie uniche. Ci proviamo» continua Bussone. «Serve molto altro, tu dirai. E ci proviamo anche qui. Affinché certo “benaltrismo” sia di stimolo per fare meglio, rilanciare, non sedersi. Certo, ci mancherebbe. Ma senza un sistema politico solido, senza un sistema istituzionale vero, senza una montagna governata da sindaci che operano insieme oltre ogni divisione anche fisica e ideologica, non si va lontano. Di certo guardiamo avanti. Vogliamo costruire un nuovo sistema istituzionale, che scelga le Autonomie e la sussidiarietà. Senza inganni. Dopo quel tuo libro, l’antipolitica è stata cavalcata con efficacia e ancora oggi molti pensano sia la soluzione. Chi ha voluto eliminare le Comunità montane è poi tornato sui suoi passi con apparenti e inutili scuse, dicendo “ci siamo sbagliati”. Scriverne – di cura dei territori, di fragilità o di “montagne che uccidono” crollando e franando – è facile. Scriverne dicendo molte cose che servono, per l’Italia, per la politica. Ed è più facile ancora scrivere oggi di quelle scelte che non sarebbero servite, come attaccare chi consideravi il margine inutile del Paese, fisico, geografico, ideale. Margine da spazzar via. Senza capire che ieri era e oggi è al centro di nuove dinamiche che affrontano le sfide della crisi climatica, energetica, ambientale, sociale, antropologica. Perché i territori nelle transizioni ci sono già, lavorano tanto, sono innovatori».

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