In malga da 75 anni: «La mia vita da pastore non la cambierei mai»

In malga da 75 anni: «La mia vita da pastore non la cambierei mai»

Settantacinque anni all’anagrafe. E altrettanti di vita d’alpeggio. Una vita come un romanzo, ogni capitolo una malga diversa. E un bagaglio d’esperienza grande quanto una montagna. Il Pelmo, per la precisione. Il “caregon del Padreterno” che domina su Malga Fontanafreda (rigorosamente con una d), ovvero il regno di Giovanni De Nardin, per tutti Nino Belot.

Chi arriva in malga vede un uomo grande, sotto il tipico cappello da pastore. Con una barba imponente e uno sguardo severo. Ma basta fermarsi a parlare per capire che sotto la scorza da malgaro c’è una passione sconfinata per il lavoro; uno dei mestieri più tradizionali del mondo. Perché la tecnologia ha cambiato molti aspetti della mungitura e della trasformazione del latte. Ma la vita in malga resta profondamente ancorata ai ritmi ancestrali della natura. Nino Belot lo sa. E lo racconta con dovizia di particolari. Una narrativa quasi epica, che non lesina particolari leggendari. D’altronde, la sua è la storia di una vera e propria epopea di pastori. Arrivata fino alla quinta generazione.

«Sono nato il 10 febbraio 1945 – racconta -. E a metà giugno di quello stesso anno ho cominciato l’accademia della malga, al Sas de San Bastian. Mi ci ha portato mia mamma, dentro una gerla».

La storia comincia dalla nonna paterna, una Soppelsa da Rif di Agordo. È l’inizio del Novecento, la fame morde e l’emigrazione resta l’unica via di fuga. Ma qualcuno torna e con qualche bestia riesce a mandare avanti la famiglia. Poi le bestie aumentano e durante la Seconda Guerra mondiale inizia la vita in alpeggio. Da giugno a settembre, una malga dietro l’altra.

«Mio padre ha cominciato alla Prendera e alla Mondeval de Sora – racconta Nino Belot -. Poi la Colcerver e a metà anni Cinquanta Pramper e Pramperet». All’inizio degli anni Sessanta arriva anche la gestione della Malga Bidoch a Zoldo Alto. E l’avventura si allarga. «È lì che ho incontrato la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie – continua Nino Belot -. Lei aveva fatto la gelataia in Germania, e non è stato facile imparare a mungere». Ma la storia funziona. E la famiglia aumenta. Nascono i figli, quelli che ancora oggi mandano avanti Malga Fontanafreda, dove i Belot sono arrivati nel 2011, dopo aver girato altre strutture tra Passo San Pellegrino e Agordo, e dopo aver aperto una super stalla alla Valle Agordina. 

«Siamo saliti nel gennaio 2011 – spiega Belot -. La casera era messa male, chiusa da tempo e vandalizzata. Abbiamo provato ad accendere il larin per scaldarci, ma era impossibile rimanere dentro per il fumo». Oggi invece il larin è il fiore all’occhiello della malga. Accanto c’è il laboratorio di trasformazione del latte. Tutto merito del lavoro. «E della passione: senza quella, non si fa il malgaro» dice fiero Nino Belot. Che ha già qualcuno a cui lasciare. Perché anche se non li dimostra, i 75 li ha raggiunti. 

La stessa passione la si legge negli occhi del nipote Mirco Rivis, che ha concluso gli studi di agraria a Vellai e ha le spalle larghe per mandare avanti una malga con 60 vacche da latte e una sessantina di capre, con un caseificio annesso e un agriturismo che quest’estate ha sfornato centinaia di pranzi ogni weekend. La quinta generazione è solida. L’epopea dei Belot può continuare. 

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