Gourmeats, trent’anni dopo: il mestiere antico che sa di futuro

Gourmeats, trent’anni dopo: il mestiere antico che sa di futuro

In un tempo non troppo lontano, il macellaio era semplicemente “quello che vende la carne”.

Un uomo robusto, grembiule bianco e mani grandi, che all’alba sollevava quarti di bovino come fossero sacchi di farina. Un artigiano silenzioso, forse un po’ schivo, ma centrale nella geografia dei piccoli quartieri.

E in quel 1995, mentre il mondo cambiava pelle sotto il ritmo delle nuove tecnologie e della globalizzazione, nel cuore di Cavarzano, a Belluno, nasceva una piccola macelleria: la Cavarzano Carni srl. Non una rivoluzione, all’inizio. Piuttosto un gesto di resistenza. Un sogno semplice: offrire carne selezionata, genuina, lavorata con cura artigianale.

Sarebbe bastato questo, ma non è andata così. Nel 1999, il primo grande salto: l’apertura del supermercato di quartiere. Un porto sicuro per migliaia di clienti, tra scaffali rigorosi e un banco carni che sapeva raccontare una filosofia. Per vent’anni, un faro. Poi, nel 2019, il trasferimento in via Vittorio Veneto, al civico 230.

Ma non si tratta solo di una sede nuova. È Gourmeats. È una visione. È lì che tradizione e innovazione si intrecciano, tra gastronomia artigianale, eccellenze italiane e internazionali, e una scelta che fa la differenza: la sostenibilità.

Così, la piccola macelleria è diventata una storia. Una di quelle che si tramandano. Un’azienda di famiglia. Un’impresa che ha saputo evolvere, restando fedele alla sua anima. Perché nel mondo del cibo, c’è chi insegue le mode. E chi costruisce fiducia. 

Oggi, il macellaio non è più solo un venditore. È un selezionatore di razze. Un consigliere di fiducia. È tornato a essere, per chi sa ascoltare, un narratore. Non vende più “ciò che c’è”: sceglie, studia, affina. Collabora con piccoli allevatori, segue la frollatura. La tecnologia è entrata pure qui: celle a controllo climatico, coltelli giapponesi, etichettatura digitale, e-commerce. Ma la carne non si guarda solo con i numeri. Servono l’occhio, il naso, la mano. Serve l’esperienza. Quella che si tramanda e non si improvvisa. E poi c’è l’altra metà del mestiere: la gente, che entra per una fetta di roast-beef e resta per un consiglio. O per una chiacchiera.

«Questo traguardo è un nuovo inizio, nel segno dell’eccellenza – argomenta il titolare, Stefano David -. Trent’anni fa si entrava in macelleria per “comprare carne”. Oggi si entra per fare un’esperienza: di gusto, di cultura, di racconto. Un mestiere antico, rinato sotto una nuova luce. E più attuale che mai. Per questo io lo amo». 

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