Gli studenti di Tambre ricordano i 33 giovani deportati a Mathausen e Flossenbug

Gli studenti di Tambre ricordano i 33 giovani deportati a Mathausen e Flossenbug

Tambre ha commemorato i 33 giovani ragazzi strappati dalle loro famiglie e deportati nei campi di concentramento di Mathausen e Flossenbug, la notte dell’11 gennaio del 1945. Alla cerimonia erano presenti la sindaca Sara Bona e diversi amministratori, le autorità civili e militari della provincia, i familiari, gli Alpini, la Fanfara di Borsoi, i rappresentanti dell’Anpi, l’antropologo Cesare Poppi e molti cittadini. Dopo la deposizione della corona ai Monumenti ai caduti di Borsoi e Cansiglio, è stata celebrata la Santa Messa alla quale hanno partecipato pure gli studenti della scuola secondaria di I grado di Tambre portando il loro personale contributo in musica: nello specifico, il canto “Beautiful that way” del celebre film “La vita è bella”, oggetti simbolo del lavoro e della vita dei giovani partigiani. E una riflessione:

«Nel prepararci a questa giornata, noi studenti della Scuola Secondaria di Tambre abbiamo letto alcuni brani sulla Resistenza e poi ci siamo soffermati sulla testimonianza di Remigio Stiletto. Scossi dalle parole e dalla terribile esperienza vissuta dai nostri paesani come da tanti altri ragazzi d’Italia, abbiamo riletto uno per uno i loro nomi scritti nei fiori della bandiera italiana che alcuni nostri compagni avevano presentato l’anno scorso. 

Tutto si è fermato e la mente ci ha portati indietro nel tempo. Abbiamo visto questi ragazzi poco più grandi di noi e ce li siamo immaginati qua, nelle vie che quotidianamente  percorriamo anche noi, nelle stesse piazze, a scuola, a casa con le proprie famiglie, amici, parenti. Ce li siamo immaginati nelle stalle, fra i boschi e le montagne impegnati a giocare e molto spesso a lavorare. 

Abbiamo pensato ai loro sorrisi, alle loro preoccupazioni, alla paura e al coraggio. A quel coraggio al quale tutti si sono aggrappati per difendere un pensiero, un ideale, un amico, la propria terra, ma soprattutto la libertà. Una condizione data oggi per scontata, e un tempo scambiata addirittura con la vita. 

Nel leggere i loro nomi ci siamo resi conto che alcuni portano lo stesso nostro cognome. È stato quindi spontaneo chiedersi se ci fosse un legame di parentela: un pro-zio, piuttosto che il parente lontano di cui in famiglia si è a volte accennato.

Abbiamo pensato di poterli ricordare oggi semplicemente con un elemento che appartenesse alla loro vita. 

Il pennino, il calamaio e qualche libro per Bona Elio, insegnante. 

La raspa, il metro, la livella, per Bona Olivo e Piazza Rino falegnami. 

I ramponi e gli scarponi per Bortoluzzi Arcangelo, Gandin Bruno, Pianon Fortunato, Zampieri Bruno boscaioli.

La cazzuola, il secchio per Bortoluzzi Giovanni e Urbano, Costa Beniamino, Facchin Marcello muratori.

Altri attrezzi di lavoro per De March Andrea, Raimondo, Stiletto Mansueto Silvio, Zampieri Narciso manovali.

Una falce e un rastrello per Piazza Giovanni, contadino e per tutti gli altri che lavoravano con le famiglie nei campi e sui prati, ma ancora troppo giovani per avere una professione che li identificasse.

Tutto questo fu abbandonato quell’11 gennaio del 1945. Le loro falci, zappe, cazzuole, metri, cappelli, occhiali, martelli, pennini, carte, rimasero sospesi nell’attesa di quelle mani con le quali quotidianamente condividere il lavoro.

Le scarpe e i calzini, ultimi compagni di quel viaggio senza ritorno. 

Spogliati di tutto, ma non delle loro idee, non dei loro ricordi, non del loro coraggio. 

L’umiltà e la passione, la perseveranza e il coraggio, la condivisione di un ideale e la difesa di valori universali come la libertà e il rispetto, sono ciò che li rendeva fratelli nel senso biblico e ciò che ci piacerebbe oggi ereditare per tentare di costruire una società più umana».  

Un messaggio semplice, ma profondo che ha commosso l’intera comunità.

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