Dal Medioevo ai giorni nostri: il pastin e una storia di sapori

Dal Medioevo ai giorni nostri: il pastin e una storia di sapori

Il pastin parla bellunese. E lo sappiamo. Ma il perché sia un piatto tipico forse non era nelle nostre conoscenze e quindi abbiamo cercato di documentarci.

Si presenta come una rondella ed è fatto con carne fresca tritata, un impasto di maiale e manzo, oppure attraverso il connubio tra maiale e bovino, salata e pepata.

Il primato più buono della vallata bellunese? Sembra lo detenga la Val di Zoldo, dove viene arricchito con la “conza”: infuso di vino bianco e spezie.

Mangiato crudo con il pane oppure alla griglia accompagnato dalla polenta, rigorosamente di farina gialla, è un piatto che accontenta tutti i palati.

Ma veniamo alle origini che si perdono nella notte dei tempi, o meglio nel Medioevo: pare che Belluno sia stata influenzata molto da questa epoca.

Già reperti archeologici risalenti alla seconda metà del 400, rinvenuti in Cadore, farebbero pensare a un passaggio di Attila a Pieve e Vigo. Ma l’influenza longobarda è testata anche dal ritrovamento di siti a Domegge e Valle di Cadore.

Fino all’Alto Medioevo abbiamo segni del passaggio di questi popoli nelle nostre vallate, fino all’invasione dei Franchi e la loro conquista del Veneto. E si potrebbe continuare.

Ma il pastin cosa c’entra? Ebbene nel periodo medioevale, l’attività più diffusa fra le popolazioni era proprio l’allevamento del suino, che veniva lasciato pascolare allo stato selvaggio tra prati incolti e boschi. Anche i nostri. 

I pastori di maiali allora si chiamavano “Porcarius”: persone ridotte in semi schiavitù, simili ai sevi della gleba. Erano i custodi della mandria. Una cosa curiosa era che i maiali di allora avevano un aspetto molto più snello, zampe lunghe e manto scuro. Pesavano molto meno, ma la loro fine era quella di oggi: la tavola.

Il porcus adulto veniva usato per la macellazione, il porcellino invece chiamato frigisigus probabilmente era cotto come la nostra porchetta. La scroa era la scrofa ed era tenuta in vita per il ripopolamento della specie. I calendari dell’epoca arrivati a noi, ci raccontano che la macellazione avveniva proprio nei periodi tra novembre e dicembre, come oggi nelle nostre zone. Alcuni pezzi venivano conservati sotto sale o affumicati sopra il fuoco. La carne affumicata veniva portata in saccoccia e mangiata nei lunghi spostamenti di questi popoli: era ricca di grassi e calorica.

L’antico pastin era macinato con tecniche rudimentali e mangiato fresco. Un piatto veloce, insomma, per popoli sempre in viaggio. Da dire che ogni Vallata dal Cadore all’Agordino ha una sua ricetta “ segreta”. Ma una cosa è certa in ogni zona del Bellunese ci si sposti, il pastin è un piatto buono ovunque: con o senza pane, con la polenta o alla griglia.

E da oggi ha un gusto ancor più particolare, sa anche di antico.
Alla prossima!

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