Ceramica riparte, un marchio dolomitico che continua a produrre puntando all’alta gamma

Ceramica riparte, un marchio dolomitico che continua a produrre puntando all’alta gamma

Le immagini di una piazza gremita per dire “no” alla chiusura sono ancora nitide: sindacati, lavoratori, sindaci, istituzioni, perfino due vescovi a lanciare un appello accorato per salvare Acc e Ideal Standard. Sono passati pochi mesi e la chiusura è scongiurata. Anzi, c’è la ripartenza. Con il marchio vecchio, che ha scritto pagine di storia industriale della provincia dolomitica. E con un entusiasmo nuovo, portato dalla nuova cordata che ha preso per mano Ceramica Dolomite.

Un entusiasmo contagioso, che ieri (7 novembre) ha segnato la festa della ripartenza. E la data è significativa, anche se la ripartenza è di fatto un cambio al volo. La fabbrica non si è mai fermata. Water, bidè e piatti doccia hanno continuato a essere modellati dagli operai e sfornati dall’impianto di Trichiana anche negli ultimi mesi, dopo il cambio della guardia tra Ideal e la cordata che fino a giugno ha visto anche il nome di Leonardo Del Vecchio.

«L’azienda è qui dal 1965, io stesso ho cominciato a guadagnare i primi soldi qui. E pensare che abbiamo rischiato di perdere un patrimonio del territorio, ci fa oggi considerare storica la giornata della ripartenza» ha detto l’ex ministro Federico D’Incà, che si è speso per salvare Ceramica. Insieme all’assessora regionale Elena Donazzan, ai sindacati, ai lavoratori, agli enti locali.

«La storia del risultato che oggi celebriamo, la ripartenza, è anche una storia amministrativa, la storia di un metodo» le parole proprio di Donazzan. «La ripartenza è nata dal coraggio. Ma anche dalla trasparenza, dall’affidabilità e dalla credibilità di chi ha lavorato per arrivare a questo punto. Ideal aveva deciso di chiudere, con un progetto sostenibile e affidabile la fabbrica è stata rilanciata».

Qualcuno l’ha detto, senza il rilancio sarebbe stato un dramma per centinaia di famiglie. Perché Ceramica dà lavoro a tanti lavoratori della Valbelluna. Era nata sul disastro del Vajont e ha contribuito a fermare l’emigrazione dal Bellunese. Adesso, dopo anni difficili, è tornata in mani italiane e venete. E punta a produrre pezzi di alta gamma, per mercati attenti alla qualità del made in Italy.

Ce la farà nonostante la crisi energetica? Perché non si può tralasciare che un impianto come quello di Trichiana – che utilizza forni a ciclo continuo – è senza dubbio energivoro. E deve fare i conti con le bollette di luce e gas.

«Stiamo già lavorando da tempo in questo senso – spiega il nuovo amministratore delegato (in carica dal 2 novembre) Stefano Mele – per diversificare le fonti di energetiche, ridurre i consumi ed aumentare qualità ed efficienza della produzione, mediante l’automazione dei processi. Allo scopo è previsto un investimento a breve di 4,6 milioni di euro».

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