Era schivo, ma fu uno dei protagonisti dell’arte e della società del ‘900 italiano. Parliamo di Augusto Murer, il grande scultore falcadino scomparso nel 1985 del quale quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita. Sono molte le iniziative messe in campo per celebrare degnamente la ricorrenza. Ieri, nella splendida cornice del salone nobile di Palazzo Fulcis, è stata inaugurata “Alle origini della scultura”, la retrospettiva a lui dedicata che ne ripercorre l’intera parabola artistica e sociale, partendo dal suo “primo amore”, il legno delle vallate bellunesi, facilmente reperibile e poco costoso, attraverso il quale Murer riesce ad esprimere la potente immediatezza della propria arte.
La mostra, curata da Dino Marangon e finanziata da Regione Veneto e Provincia di Belluno, si sofferma sugli anni ’40 e ’50 dell’artista. Sono quelli del fondamentale incontro con Arturo Martini, anni in cui Murer mette a punto un suo autonomo linguaggio, proprio operando con il disegno e con e sul legno. Si trattò di un rapporto breve, racchiuso nel volgere dell’autunno 1943, “fino a quando il maestro e l’allievo dovettero abbandonare Venezia per seguire strade indicate da opposte ideologie”. A proposito del maestro, Murer non esitò a riconoscere che Martin gli tolse le “cateratte dagli occhi” fornendogli una nuova visione dell’arte.
La vocazione di Murer di misurarsi con i grandi spazi viene sottolineata in mostra dall’esposizione del bozzetto in bronzo della “Partigiana” veneziana e, all’esterno del Museo, da una Maternità del 1971 e dal sensuoso ed essenziale “Torso” femminile” (1985), “dolce e rigoroso insieme”.