Vajont 59 anni dopo. Il peso della memoria che rischia di chiudersi

Vajont 59 anni dopo. Il peso della memoria che rischia di chiudersi

Il sessantesimo, tra un anno, sarà altra cosa. Perché sarà l’ultimo grande anniversario in grado di trovare in vita i soccorritori e gran parte dei superstiti e dei sopravvissuti di quel maledetto 9 ottobre 1963. Il cinquantanovesimo del Vajont, invece, celebrato ieri con grande sobrietà, lascia un monito non da poco: mancano i giovani.

Non che la memoria corra il rischio di essere dimenticata: sarebbe una contraddizione in termini. Del resto, è impossibile dimenticare quello che è successo. Una diga costruita nel posto sbagliato, la sete di profitto cieca e sorda di fronte ai dubbi e alle rimostranze delle comunità locali, un disastro annunciato che spegne la vita di quei 2mila anime, che spazza via interi paesi, affetti e prospettive di futuro. Tutto questo è impossibile da dimenticare. Ma il Vajont, oltre a non essere dimenticato, deve insegnare qualcosa. Deve consegnare ai giovani la consapevolezza che nella natura a ogni azione corrisponde una reazione, in un passaggio di testimone che per forza di cose non può che avvenire tra chi ha vissuto e visto il disastro, e chi è chiamato a evitare altre tragedie. Un passaggio di testimone che investe il sessantesimo anniversario – tra un anno – di grandi aspettative. Ci sarà il presidente della Repubblica. Ci sarà la presidente del Parlamento europeo. 

Ieri invece, nell’atmosfera uggiosa tipica dell’ottobre bellunese, si è celebrato l’anniversario intimo degli affetti. La cerimonia al cimitero di Fortogna ha visto la partecipazione di molti sindaci, delle autorità provinciali, del ministro Federico D’Incà, probabilmente all’ultima uscita da rappresentante del governo. Prudenza e responsabilità sono state il cardine del discorso del sindaco Roberto Padrin, che ha citato anche il Cantico delle creature di San Francesco, in un monito che ieri era quello di chi vedeva il Monte Toc muoversi sotto la spinta dell’acqua del Vajont e oggi è quello del mondo di fronte ai venti di guerra che spirano dall’Est Europa.

Ma prudenza e soprattutto responsabilità sono anche il cardine su cui costruire la consegna della memoria e del ricordo ai giovani. Perché ieri, alla cerimonia di Fortogna, erano davvero pochi i giovani. Presenza sparuta nell’immensità di un cimitero fatto di lapidi e di volti commossi. Senza di loro, senza i giovani, il Vajont rischia di chiudersi nei libri di storia, ancorato al dolore di chi l’ha vissuto sulla propria pelle, anziché costituire un monito e un punto di ripartenza, fatto di consapevolezza e di equilibrio.

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