Un messaggio dal carcere: «Mandatemi del veleno. Non resistono più». Lo scrive Mario Pasi, medico di Ravenna e partigiano in Valbelluna, spinto nella valle del Piave dalla guerra di resistenza che ha raccolto centinaia di giovani all’indomani dell’8 settembre 1943.
È l’inizio di marzo del 1945. Pasi, detto “Montagna”, si trova in carcere a Belluno, prigioniero dei nazisti. Ha 32 anni, ma per le torture subite dai carcerieri è messo male: una gamba in cancrena, dolori e sofferenze. Tanto da far uscire un biglietto all’esterno: «Mandatemi del veleno». Il veleno però non arriverà mai. Perché in quei giorni di marzo succede qualcosa di terribile a Belluno.
Il 6 marzo i partigiani bellunesi preparano una trappola mortale. La confezionano al poligono di tiro, alla periferia della città. E la mascherano dietro alla satira, consapevoli che i nazisti mal sopportano le note ironiche.
Il giorno dopo, quando i tedeschi arrivano, vanno su tutte le furie. Vedono che al centro dei bersagli è stata collocata un’immagine di Hitler. E accanto una scritta a caratteri cubitali: “zigklt gut”, mirare bene. I soldati si precipitano a eliminare il messaggio satirico, ma il terreno è minato e l’esplosione fa fuori quattro militari del Terzo Reich (altri quattro muoiono in seguito alle ferite).
La reazione è veemente: il maggiore Schroeder che comanda il battaglione di altoatesini di stanza nella zona chiede 50 partigiani da impiccare per rappresaglia; il tenente Karl (comandante della gendarmeria tedesca) gliene concede dieci. È l’inizio dell’eccidio del Bosco delle Castagne (zona nord di Belluno, tra Mussoi e Vezzano), 10 marzo 1945.
I dieci scelti vengono prelevati dal carcere e portati a marcia forzata fino al bosco. C’è anche Pasi, detto “Montagna”. Con la gamba in cancrena non è in grado di camminare, ma in qualche modo arriva al patibolo. Con lui ci sono altri nove compagni di sventura: Giuseppe Santomaso detto “Franco”, 25 anni di Belluno; Francesco Bortot detto “Carnera”, 24 anni di Belluno; Marcello Boni detto “Nino”, 24 anni di Perarolo, maestro elementare; il “Portos”, vale a dire Pietro Bertanza, 20 anni ancora da compiere, di Brescia; Giuseppe Como detto “Penna”, imberbe 20enne di Trichiana; Ruggero Fiabane il “Rampa”, 28 anni di Valmorel; Guido Candeago “Fiore”, operaio 24enne di Sedico; Giovanni Cibien “Mino”, 20 anni, di Trichiana; e Ioseph, soldato francese sconosciuto. Vengono tutti impiccati e lasciati appesi.

Finisce qui? No. Perché rientrati in caserma, i nazisti si accorgono di aver commesso un errore. Dovevano giustiziare Giuseppe Cibien, ma nel Bosco delle Castagne hanno impiccato Giovanni Cibien. Omonimia. Prelevano dal carcere Giuseppe e lo fucilano nel cortile della caserma D’Angelo. I martiri di quel 10 marzo ’45 salgono a undici.

La domenica più vicina alla data del 10 marzo è da sempre dedicata alla commemorazione degli eventi che si verificarono il 10 marzo 1945, al Bosco delle castagne.
Oggi (domenica 9 marzo), l’appuntamento è alle 10, alla stele commemorativa sull’altura poco a nord della città. Si comincia con la messa, con gli onori ai caduti, l’alzabandiera e la posa di una corona d’alloro, alla presenza delle autorità, del gonfalone della Città di Belluno, di quelli di altri Comuni, delle associazioni combattentistiche e delle molte persone che ogni anno partecipano alla cerimonia. Dopo l’intervento del vicesindaco Paolo Gamba, l’orazione ufficiale sarà tenuta da Renzo Savini, presidente dell’Anpi di Ravenna. Parteciperà anche il coro della Casa dei Beni Comuni.