Melanomi in aumento: «Non sottovalutate il sole in montagna»

Melanomi in aumento: «Non sottovalutate il sole in montagna»

Chi pensa di salire in montagna per fuggire al solleone stia attento: la provincia di Belluno ha un’incidenza di melanomi superiore alla media veneta e nazionale.

I dati arrivano direttamente da uno studio dell’università di Padova e sono stati presentati ieri nella sala convegni dell’ospedale San Martino di Belluno da Alessandra Buja (ordinario di Igiene dell’università patavina) e Carlo Riccardo Rossi, dell’istituto oncologico veneto. Lo studio smentisce la credenza popolare che in montagna il sole picchi meno forte che al mare. E’ vero il contrario.

Lo dimostrano, come detto, i numeri. In generale i casi di melanoma (il più noto e uno fra i più pericolosi tra i tumori della pelle) sono in costante aumento. Negli ultimi 30 anni (dal 1990 al 2018) si registra un + 3% annuo nei paesi a più alto indice socioeconomico. Un trend al quale si accoda anche il Veneto, che nello stesso periodo ha visto un aumento del 3% all’anno per quanto riguarda le donne e del 3,8% negli uomini. Tutt’altra musica, invece, nel Bellunese, dove la crescita dei casi è stata del 4,1% all’anno nelle donne, che sale addirittura al 5,8% negli uomini. E se si guarda alla fascia di popolazione sotto i 50 anni., il trend di crescita è ancora maggiore, con un +7% negli uomini e + 7,7% nelle donne.

Non sono numeri da sottovalutare, tutt’altro. Il melanoma sta diventando un problema sempre più grande, scalando le classifiche epidemiologiche. «Nel 1990 – spiega Carlo Corrado Rossi – in Veneto era al 15esimo posto tra i tumori più diffusi, mentre ora è al 6°. In provincia di Belluno in trent’anni è passato addirittura dal 18esimo al 7° posto. Ed è il quinto tumore più diffuso tra i maschi». Non solo: come aggiunge Buja «negli uomini sotto i 50 anni è la forma tumorale più diffusa».

Per fortuna la medicina ha fatto passi da gigante e, se preso in tempo, il melanoma è curabile, spesso con un semplice intervento ambulatoriale. «La diagnosi precoce è fondamentale – continua Rossi – e devo dire che in Veneto la si riesce a fare bene. Il 62% dei casi di melanoma, infatti, viene individuato quando è allo stadio 1 e nel 70% dei casi è autodiagnosticato». Importantissimo, quindi, sapersi osservare. «Bisogna controllare la pelle ogni 4 mesi circa – spiega il medico dello Iov – perché nella prima fase, detta “diffusione radiale (che può durare qualche mese), i melanociti “impazziti” si diffondono nell’epidermide. E’ in questa fase che, se preso in tempo, il tumore fa meno paura». I segnali che qualcosa non va possono essere diversi, ma in generale è importante osservare se qualche neo del nostro corpo cambia forma e dimensione, con bordi frastagliati e dimensioni che possono superare i 5 millimetri.

Se si va oltre e il tumore passa allo stadio 3 o 4 (ovvero quando i melanociti raggiungono i vasi sanguigni e da qui possono formare delle metastasi) le cose cambiano in peggio. «In tal caso gli interventi sono più invasivi – continua Rossi – e le possibilità di recidiva aumentano. Così come la mortalità». A Belluno, che conta circa 100 casi di melanoma all’anno, i casi gravi o scoperti tardi rappresentano il 18% del totale: più della media veneta, che si attesta al 14%.

«È fondamentale, quindi – commenta la direttrice generale dell’Ulss 1, Maria Grazia Carraro – lavorare sulla prevenzione. È per questo che stiamo partendo con una campagna informativa, che porteremo avanti assieme al Cai e ai rifugisti, per spiegare le buone pratiche dell’andare in montagna: ovvero non dimenticare mai la protezione adeguata». L’abbronzatura non basta, ripara solo per il 4%. E ci si può ustionare anche quando in cielo ci sono le nuvole. E poi bisogna usare le creme protettive, con fattore di protezione almeno 30: «Invece, da un rapido studio che abbiamo portato avanti con un campione di 220 persone – chiude Sandro Cinquetti, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 1 – risulta che il 50% delle persone non ne fa alcun uso».

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