Mani, piccone e sacrificio: la storia di Dino e dei minatori di Marcinelle

Mani, piccone e sacrificio: la storia di Dino e dei minatori di Marcinelle

 

Il viaggio di uomini e donne verso la terra promessa non sempre ha portato a una vita migliore. Anzi, c’è chi, purtroppo, la vita l’ha persa.

Con un valigia piena di speranze, era partito anche Dino Dalla Vecchia di Sedico. Professione? Minatore.

Tra il 1946 e 1956, più di 140mila italiani varcarono la Alpi per andare a lavorare nelle miniere della Valdonia.

C’era un accordo tra Bruxelles e Roma: l’invio di “braccia” in Belgio in cambio del rifornimento di carbone a Roma. Circa 200 kg al giorno per ogni italiano, in cambio di uno stipendio molto buono. Ma non senza sacrifici, se si considerano la lontananza da casa e le gravi malattie polmonari che venivano contratte da questi uomini nelle viscere della terra.

Soldi sudati in gallerie anguste, respirando gas tossici e con gli strumenti in uso all’epoca: mani e picconi.

Questo faceva Dino in Belgio: precisamente, a Marcinelle. Nella miniera di carbone, dove è avvenuta una delle più grandi tragedie nella storia lavorativa dei nostri emigranti.

I sogni di Dino si spensero l’8 agosto 1956, insieme ad altri 262 compagni. Ben 136 Italiani, ma le vittime non hanno bandiera. Soprattutto se pensiamo che il più giovane aveva 16 anni, poco più di un bambino: già con la faccia e le mani nere, sporche di carbone.

Si sviluppò un incendio all’interno delle gallerie, a causa di un montacarichi che urtò una trave d’acciaio, trascinando con sé un cavo dell’alta tensione. E tante vite.

Erano le 8.10 del mattino, da ore i minatori erano al lavoro. A 1035 metri sottoterra: solo sette riuscirono a risalire le gallerie e solo dodici si salvarono.

Il 22 agosto, ben due settimane dopo la tragedia, i soccorritori riuscirono ad arrivare alle gallerie, perché per giorni continuava a uscire fumo acre e nero. E le dotazioni in uso non erano quelle di oggi.

Dalla galleria si alzò solo un grido: «Tutti morti».

In ricordo alla tragedia, oggi la miniera è patrimonio dell’Unesco. E un patrimonio lo sono anche tutti quei minatori che lì hanno lavorato e lasciato tutto.

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