«Liberiamo la montagna da cementi, funi e telecabine»

«Liberiamo la montagna da cementi, funi e telecabine»

Riceviamo e pubblichiamo la presa di posizione del Consiglio direttivo di Mountain Wilderness Italia. 

La tragedia che ha colpito decine di escursionisti e alpinisti in Marmolada ha scosso tutti noi. Ed è una tragedia che deve farci riflettere. I ghiacciai urlano con forza dirompente la loro sofferenza causata dai cambiamenti climatici in atto, non solo nella drastica riduzione delle loro dimensioni e della capacità di ritenzione idrica, ma anche attraverso queste trasformazioni, improvvise, dirompenti, e molte volte tragiche. I cambiamenti climatici stanno modificando in modo sempre più veloce le alte quote, le montagne diventano instabili, crollano pareti e i ghiacci franano a valle. Il ghiacciaio della Marmolada sta morendo, scomparirà nell’arco di 20 o 30 anni; in generale la natura sta soffrendo e diventerà sempre più imprevedibile, con eventi catastrofici sempre più frequenti e potenti. La politica incolpa il clima, ma poi non fa nulla di concreto per cercare di mitigare gli effetti della nostra impronta ecologica sempre più pesante. 

Solo pochi anni fa un amministratore pubblico di Canazei, nel sostenere l’allargamento dell’area sciabile sul ghiacciaio della Marmolada, in piena zona tutelata dall’UNESCO affermava che “la Marmolada è grande, può sopportare anche il raddoppio degli sciatori”. Ancora, fino al giorno precedente la tragedia, amministratori pubblici trentini e veneti sostenevano un collegamento funiviario da Alba di Canazei verso Passo Fedaja per poi arrivare nei pressi di punta Rocca. L’amministrazione di Canazei voleva la nuova funivia fino a Punta Rocca, imponendo al ghiacciaio perfino un pilone alto 65 metri. E imprenditori della val Gardena stanno sostenendo un nuovo impianto che da Fedaja superi Pian dei Fiacconi per poi raggiungere Punta Rocca. Ricordiamo che l’eventuale impianto sarebbe proprio passato sulla linea della caduta della valanga di ghiaccio, fosse stato costruito avremmo avuto l’impianto divelto, probabilmente un maggior numero di vittime e grandi polemiche. Se l’impianto non è stato fatto il merito è solo di MW. 

Così si ragionava fino al 2 luglio. Ora è auspicabile che al versante nord della Marmolada vengano offerte attenzioni opposte, diventando uno spazio libero da insediamenti umani. Una montagna liberata da cementi, da funi e telecabine. Uno spazio che permetta a noi tutti, sia nella stagione turistica invernale, sia in quella estiva, di ritrovare sulle alte quote i valori della spiritualità, la genuinità della montagna, il senso del limite, di poter riappropriarci, grazie alla fatica delle salite, del respiro di tanti silenzi e dei paesaggi fantastici presenti in Dolomiti, senza più sedie a sdraio, ciabatte, musica ad alto volume. Se la recente disgrazia ha avuto cause naturali, la Marmolada continua a subire aggressioni alla propria naturalità e attende da decenni di essere ripulita dagli errori del passato: impressionanti muraglie di cemento che erano state costruite per accogliere nuovi impianti, piloni di sostegno abbandonati di impianti mai costruiti, rifiuti sparsi ovunque e ancora presenti nei crepacci. Questa tragedia che ha colpito tanto in profondità l’opinione pubblica italiana e mondiale dovrebbe portarci a rivedere la frequentazione dell’intero gruppo della Marmolada in modo diverso, sobrio, leggero, superando indicibili e inconcepibili conflitti sui confini fra comuni. Protagonista di questo disegno di rinascita dovrebbe essere la Fondazione Dolomiti Unesco, da noi sollecitata in tal senso da anni. Una Fondazione oggi priva di respiro e strategia, immobilizzata dagli egoismi dei singoli territori che ancora leggono il turismo in modo selvaggio, costruito su numeri, su traffico, su potenziamento di rifugi e altre infrastrutture. 

È venuto il momento di decidere. E lasciare a questa tormentata montagna, dapprima sconvolta dalla grande guerra e poi da uno sviluppo turistico privo di qualità, il recupero di una normalità, di una frequentazione che permetta a noi tutti di vivere non l’economia turistica, ma l’ospitalità e la bellezza delle Dolomiti intere. Partendo appunto dalla Regina delle Dolomiti, offrendo a questa il ruolo che le spetta. 

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