L’identità della montagna contro lo spopolamento. Parola di Paolo Rumiz

L’identità della montagna contro lo spopolamento. Parola di Paolo Rumiz

«Siate fieri di essere montanari. Solo così si combatte lo spopolamento». E se lo dice un viaggiatore e conoscitore del mondo come Paolo Rumiz… Anzi, lo ha detto. Proprio così. Lo scrittore e giornalista ha tenuto tutti a bocca aperta, sabato mattina. L’intero teatro del Giovanni XXIII, zeppo di studenti bellunesi. Più un’altra sala, piena di adulti. 

Il tema del convegno organizzato dalle Scuole in Rete era l’Europa. Che c’azzecca con Belluno, la periferia della periferia dell’impero? C’azzecca eccome. «Perché le dinamiche che muovono il mondo di oggi, partono dalle periferie inascoltate» ha detto Rumiz. «Donald Trump è stato eletto con il voto delle periferie. Lo stesso è successo con la Brexit, che non è certo partita a Londra. Il problema è che oggi i gruppi dirigenti non sono in grado di ascoltare la voce delle periferie; le ascoltano solo i politici che parlano alla pancia della gente, senza usare organi più raffinati».

E Belluno è sicuramente periferia. Il peso politico lo indica chiaramente; la crisi demografica lo certifica. «Se oggi non contrastiamo lo spopolamento, l’effetto sarà che gli stranieri verranno a comprare a prezzo ridicolo le nostre zone, mentre noi saremo sulla costa a piangere l’identità perduta. Quindi difendete l’identità montanara e siatene fieri». Già, l’identità. Che va a braccetto con la memoria. Un tema caro a Rumiz, toccato con mano durante la guerra nei Balcani. «Un popolo che ha memoria è più forte degli altri – ha detto lo scrittore -. Quando i ribelli serbi stavano preparando l’assalto a Sarajevo, la prima cosa che hanno fatto è stata bombardare la biblioteca. La guerra è cominciata dai libri, dalla memoria. E anche a Mostar hanno voluto colpire un luogo della memoria, perché il ponte era il luogo dell’alleanza tra la parte cattolica e la parte musulmana della città».

E la memoria bellunese? Dove sta? Corre il rischio di diventare sacra, quindi inservibile. «È già successo a Belluno – ha spiegato Rumiz -. Avevate “la” Piave. Quando dopo la Prima Guerra Mondiale sono state sacralizzate le sue sponde, il fiume è diventato “il” Piave, al maschile. La sacralità è la moneta di scambio che vi hanno lasciato, mentre si vampirizzavano le acque del vostro fiume. Il Vajont è ancora lì a testimoniarlo con i suoi morti. Solo che la sacralizzazione è la fregatura che palesa l’abbandono della montagna».

Come se ne esce? «Evitando di ragionare in termini di frontiera. Vaia lo ha dimostrato: non c’è frontiera, non esiste confine. La tempesta ha colpito la montagna, dimenticandosi che esiste una montagna autonoma e una a statuto ordinario. Bisogna farsi aiutare da forze che vengono da fuori. È così che si costruisce Europa». Già. Del resto Europa – lo dice il mito greco – è una migrante, una ragazza del Libano strappata al padre perché piaceva a Zeus. Una ragazza che attraversa il Mediterraneo con paura e approda a Creta… 

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