In fuga da Kiev, l’inferno ucraino negli occhi di un bellunese

In fuga da Kiev, l’inferno ucraino negli occhi di un bellunese

Via da Kiev. Via dalla città assediata. Il 25 febbraio 2022 resterà una data indelebile nella memoria del trentenne di Belluno incappato nel pieno del caos in cui la capitale è piombata dopo la decisione di Putin di attaccare. Ora il ragazzo (che avevamo già sentito qualche settimana fa «Qui sembra tranquillo, ma c’è chi dice che Putin attaccherà». Il racconto di un bellunese a Kiev) si trova in una zona a sud della metropoli, al momento lontana dai combattimenti e dagli echi di esplosioni e spari che hanno sconvolto la normalità in cui ha vissuto negli ultimi quattro anni, da quando cioè ha deciso di stabilirsi in Ucraina con la moglie, cittadina di quel Paese. È ospite dai genitori di lei, in un residence di periferia sorvegliato ventiquattrore su ventiquattro da una guardia privata. Un posto che per adesso significa sicurezza, dopo la fuga di venerdì.

«Ce ne siamo andati attorno a mezzogiorno, appena in tempo», racconta riavvolgendo il nastro di una giornata frenetica. «Ci siamo svegliati all’alba con la notizia che le truppe russe stavano entrando in città. Era prevedibile, ma con la chiusura dello spazio aereo e la sospensione dei voli commerciali per lasciare il Paese, i nostri piani sono saltati e siamo rimasti incerti sul da farsi. Ci siamo diretti alla stazione ferroviaria per prendere il primo treno che ci permettesse di scappare. Era disponibile una corsa per Budapest il 28 febbraio. C’erano migliaia di persone in attesa e qualche centinaio in fila alla biglietteria. Nel frattempo, mentre facevamo la coda, giungevano gli aggiornamenti in cui si diceva che i russi erano arrivati da Nord e si stava combattendo. Ci siamo detti che non c’era più tempo. Abbiamo comprato i biglietti e con la macchina siamo corsi all’Ambasciata italiana». Qui una sorpresa: «Da giorni le comunicazioni erano poche e vaghe. In ogni caso, il numero di emergenza ci aveva dato come punto di ritrovo proprio la sede diplomatica. Venerdì, però, quello stesso numero era impossibile da raggiungere. Poi, una volta arrivati in Ambasciata, l’abbiamo trovata chiusa».

A questo punto il dietrofront e il ritorno a casa, per prendere le valigie. «L’idea era di raggiungere il confine in auto, ma i genitori di mia moglie ci hanno convinti ad andare da loro, dove di fatto siamo bloccati, dato che da qui non è più sicuro muoversi». Questo vuol dire niente partenza con il treno, niente Budapest, niente Europa. «È troppo rischioso, perché dovremmo ritornare a Kiev in macchina e ce l’hanno sconsigliato. Tra l’altro, gira voce, ma non so se è vero, che si stiano verificando episodi di sciacallaggio e criminalità lungo le strade. Ormai non sembra più verosimile raggiungere la frontiera. Tutto quello che posso sperare è che il conflitto finisca al più presto, anche se non so come potrà evolvere la situazione».

Situazione che lascia sconforto, amarezza e anche rabbia. «Davvero l’Ucraina non si meritava questa aggressione. È un Paese pacifico, che vuole vivere la propria indipendenza in maniera dignitosa. La gente qui lavora duramente, è onesta, ha dei sogni e tanto potenziale. Purtroppo tutto ciò è stato messo in crisi dalla Russia e dal suo leader, una sorta di bullo che se la prende con i più deboli».

Foto: auto in fuga da Kiev (lo scatto di Pierre Crom che ha fatto il giro del mondo)

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