Il Vajont e l’onda distruttrice. A distanza di 57 anni, ecco il Covid. Cosa hanno in comune? Il numero di morti: circa 2mila dalla frana del monte Toc, 2.200 le vittime del coronavirus in Italia da febbraio a oggi. A istituire il parallelo, un fil rouge di dolore e morte, è stato il convegno organizzato a Longarone, inserito all’interno delle celebrazioni del 9 ottobre e dedicato quest’anno alla gestione delle emergenze. Dolore sì, ma anche rinascita. Tra gli ospiti infatti c’era anche Mattia Maestri, il paziente 1 del focolaio di Codogno. Il primo uomo a finire in coma per Covid e a risvegliarsi.
L’emergenza è stata trattata sotto diversi punti di vista. Quello dei vigili del fuoco, con il comandante nazionale Dattilo a raccontare dei trasporti speciali di amuchina e gel igienizzanti nei mesi del lockdown. Quello dell’ingegnere, con Andrea Rinaldo e la sua spiegazione matematica della propagazione del virus. E quello di Marco Mazzorana, ricercatore dal Laboratorio Xchem del centro Diamond Light Source a Oxford, impegnato nella ricerca di un vaccino contro il Covid.
Perché nello scenario dei numeri dei contagi, e della cosiddetta seconda ondata di virus, c’è chi lavora quotidianamente per tenere sotto controllo la virulenza e studiare armi contro la pandemia. È il caso di Roberto Rigoli, direttore del Dipartimento di medicina specialistica e medicina di laboratorio, vicepresidente dell’Associazione Microbiologici Clinici Italiani e attuatore delle procedure di esame per la presenza di positività al Covid con i test rapidi antigenici. «Questi test rapidi che abbiamo sviluppato sono formidabili – ha spiegato Rigoli -. E ci permetteranno di ridurre sensibilmente il numero delle persone costrette alla quarantena».
Tutti gli scienziati stanno collaborando alla gestione dell’emergenza. Che punta a evitare morti e sovraccarichi delle strutture ospedaliere. Tra le sperimentazioni portate al convegno anche quella della “banca del plasma” ideata dalla cadorina Giustina De Silvestro, direttrice del servizio di immunoematologia a Padova.
«Nel pieno del caos dell’inizio dell’emergenza, ho proposto alla direzione dell’ospedale di Padova di tornare a una vecchia terapia: sfruttare gli anticorpi che un paziente ammalatosi e guarito produce naturalmente – ha spiegato De Silvestro -. Di fatto, si tratta di usare il plasma dei soggetti guariti dalla malattia per poter curare i nuovi malati. Da lì è nato un protocollo sperimentale e abbiamo cominciato a raccogliere il plasma per avere qualcosa di pronto per la seconda ondata. E a mia insaputa il governatore Zaia ha lanciato la prima banca del plasma d’Italia. Cosa facciamo adesso? Stiamo osservando l’evoluzione: è presumibile che i casi aumentino. Difatti vogliamo continuare a incrementare la banca del plasma».