Chiesa di San Martino, in settimana il via ai monitoraggi in 3D

Chiesa di San Martino, in settimana il via ai monitoraggi in 3D

L’unione fa la forza. Nel caso dell’antica chiesa di San Martino, a Valle di Cadore (e delle case di via Costa di sotto) si spera anche la salvezza.

Da febbraio, quando la frana che ne minaccia l’esistenza è tornata a muoversi velocemente, Comune, Diocesi, Provincia, Regione e Soprintendenza sono al capezzale dell’edificio sacro del ‘700. Ognuno con un ruolo ben preciso.

Quello che si sa è che occorre fare in fretta: la “berlinese” costruita nei primi anni 2000 a sostegno della chiesa ormai non ha quasi più appoggio sulla roccia sottostante. Quello che invece non si conosce sono profondità e consistenza del substrato roccioso, unica àncora per salvare l’edificio.

A fare luce penseranno gli esperti dell’università di Parma, assieme agli omologhi dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica di Trieste. A loro il Comune di Valle di Cadore ha dato l’incarico di analizzare in profondità quello che c’è sotto il corpo di frana. Bisogna capire dove si trova (e se ci sia) roccia compatta, per poter poi intervenire.

«Martedì porteremo la delibera d’incarico in consiglio comunale – spiega il sindaco Marianna Hofer – e conto di avere l’ok di tutti. Perché la chiesa è patrimonio della comunità e dell’intera provincia e senza questo studio approfondito è impossibile ipotizzare qualsiasi tipo di intervento».

Università di Parma e Ogs metteranno in campo le più evolute tecnologie. Quello che ne uscirà sarà un rilievo tridimensionale del cuore dello sperone roccioso sul quale poggia la chiesa. Costerà 15mila euro, pagati da Comune e Regione Veneto.

«Con questo studio sperimentale ci poniamo due obiettivi – spiega Roberto Francese, dell’università di Parma -. Innanzitutto comprendere che andamento ha il substrato roccioso in profondità. Dato che l’unica possibilità è ancorarsi ad esso con pali e tiranti è necessario capire se il substrato sia compatto o fratturato con rocce tenere che non danno sicurezza». Ci vorranno circa 3 settimane di analisi per arrivare ad un risultato, attraverso una rete di sensori che si estenderà anche verso nord – ovest, dove ci sono le abitazioni di costa di sotto, alcune delle quali in potenziale pericolo. «Anche se non dovrebbero esserci rischi immediati», aggiunge il consigliere provinciale con delega al territorio, Massimo Bortoluzzi.

La Provincia ha competenza sui centri abitati. Studierà pertanto la situazione sotto Via Costa, grazie all’esperienza del geologo Mario Cabriel, che segue la frana dal 1974. «Rispetto alle volte precedenti – spiega – abbiamo osservato ampi movimenti anche nel versante sotto l’abitato di Costa, che va tenuto sotto controllo. Faremo dei sondaggi lungo il versante per capire dove si colloca la faglia che sta disgregando questa parte, poi una campagna di acquisizioni dati per capire cosa sta succedendo e che condivideremo con i tecnici dell’università di Parma e di Ogs. Dovremmo partire entro qualche settimana, vedremo di accelerare il più possibile».

Nel frattempo il Ministero della cultura, attraverso la Soprintendenza di Venezia, si occuperà del ripristino del sistema di monitoraggio interno alla chiesa, che dovrà indicare come reagisce la struttura ai movimenti franosi. «Purtroppo al momento non abbiamo dati – spiega l’architetto Tommaso Fornasiero – perché l’attuale sistema è fuori uso da dicembre a causa di un fulmine. Abbiamo avviato una procedura d’urgenza per il montaggio di una nuova rete di monitoraggio, più moderna e gestibile interamente da remoto. Entro giugno dovrebbe essere attiva, in alcune parti anche prima. I dati raccolti, incrociati a quelli raccolti dall’università, saranno fondamentali per capire il tipo di intervento possibile».

La Regione, dal canto suo, è pronta a finanziare i passi successivi. «Abbiamo già previsto un budget per l’intervento – sono le parole dell’assessore regionale Gianpaolo Bottacin – che speriamo sia corretto, ma questo lo capiremo solo dopo il monitoraggio. Solo con i dati in mano potremo capire con certezza come e se intervenire. Dico se perché c’è il rischio che le verifiche siano negative, riportando una situazione geologica molto compromessa. In tal caso non sarebbe possibile, probabilmente, un intervento risolutivo».

Non resta che studiare e incrociare le dita. Intanto la diocesi si sta organizzando per mettere al sicuro l’ingente patrimonio artistico. «Tutte le opere sono state catalogate – spiega il vescovo di Belluno – Feltre, Renato Marangoni – e verranno temporaneamente immagazzinate in municipio».

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